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Parlare di Africa è diventato di destra

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NAIROBI - Walter Veltroni l'ha trasformata in un tormentone. Per Romano Prodi è diventata un rifugio dopo il ritiro forzato dall'attività politica italiana. L'Africa ha sempre esercitato un fascino particolare sulla sinistra. Un'attrazione fatta di popoli oppressi, lotta alla fame, aiuto ai migranti, debito da cancellare. Temi che la destra ha sempre affrontato con un poca dimestichezza. Almeno fino ad oggi. Sul volo che lo sta portando da Malindi e Nairobi, tappa conclusiva della sua missione in Kenya, il viceministro allo Sviluppo Economico Adolfo Urso, uno degli uomini più vicini a Gianfranco Fini, spiega perché parlare di Africa, ora più che mai, è di destra. «Per anni - racconta - si è pensato che la sinistra dovesse occuparsi dei problemi degli altri e la destra dei propri. Se la sinistra parlava di ambiente, la destra doveva parlare di produzione. Oggi non è più così. Complice anche la crisi storica della sinistra europea, non solo comunista, la destra ha cominciato ad occuparsi e a farsi carico dei problemi degli altri e delle loro soluzioni. Non a caso governiamo in gran parte dell'Europa». L'interesse dell'Italia per l'Africa è sicuramente l'esempio più concreto di questa «inversione» culturale. Il Kenya è il settimo Stato africano che Urso visita. Sono già in programma, oltre al ritorno in Angola, missioni in Camerun, Gabon e Ghana mentre il ministro degli Esteri Franco Frattini, ha appena concluso una missione tra Mauritania, Mali, Etiopia, Uganda, Kenya, Egitto e Tunisia. «Questo nostro interesse - prosegue Urso - ha tre motivi fondamentali. Il primo è la consapevolezza, oggi più che in passato, di una responsabilità collettiva. La destra non è più isolazionista, ma si assume la governance di problemi globali che hanno ricadute anche su di noi. I pirati somali non sono un fatto circoscritto ma interessano il commercio internazionale. Noi, oggi, ci carichiamo la responsabilità di trovare soluzioni a questi problemi. Il secondo motivo è l'interesse economico. C'è una progressiva carenza di risorse soprattutto dopo che la Cina e i paesi dell'America Latina, storicamente esclusi dai processi di sviluppo, sono entrati a farvi parte. L'Africa è un enorme giacimento di materie prime. Noi dobbiamo puntare su questo aspetto soprattutto per quanto riguarda la lavorazione in loco. Perché così si creano opportunità di business. Dobbiamo passare dalla politica del dono a quella della partnership. Il continente africano deve smettere di essere l'oggetto della nostra coscienza per diventare il soggetto del nostro sviluppo. Due sono i livelli: infrastrutture e energia. Non a caso Eni è la prima impresa petrolifera mondiale in Africa. Ma si possono aprire spazi nel turismo, nel settore agricolo, in quello delle costruzioni, nei semilavorati. Anche per questo l'Italia sta diventando sempre più, da Paese esportatore di manufatti, Paese esportatore di tecnologia e macchine per lavorare le materie prime. C'è poi l'aspetto più politico - conclude -. Questo continente, sempre di più, sta aumentando il proprio peso all'interno degli organismi internazionali condizionandone le scelte. Un filo diretto con questa realtà può sicuramente facilitare gli interessi dell'Italia e dell'Unione europea». Ma è il dato più squisitamente culturale quello su cui Urso insiste e torna più volte. «C'è una rivoluzione in atto nella destra mondiale - rilancia - che si manifesta in questa assunzione di responsabilità collettiva. Davanti ai processi di globalizzazione ci sono due reazioni. Una è la paura, comunque legittima, che si traduce in una chiusura: guardo al mio giardino dimenticando, però, che qualsiasi fenomeno inevitabilmente lo condiziona. L'altra è quella che considera l'uomo come cittadino del mondo e non alimenta la paura, ma la speranza. Non la chiusura, ma la capacità di governance». Impossibile nascondersi, però, che proprio questa «rivoluzione» è all'origine dei tanti attacchi ricevuti in questi mesi dal presidente della Camera e dalla sua fondazione Farefuturo di cui Urso è segretario generale. «Avremmo potuto chiamarci semplicemente Futura - spiega - perché analizzare e prevedere il futuro è già un lavoro importante. Invece noi vogliamo andare oltre e contribuire a fare, a governare il futuro. Da questo punto di vista sono convinto che noi incarniamo lo spirito autentico della destra. Quella che, come ha detto recentemente Angela Merkel, deve parlare anche ai delusi della sinistra e agli stranieri integrati. Non è un caso che la leadership di Berlusconi e di Fini si completino. Gianfranco è apprezzato da alcuni settori delle destra e dagli scontenti del centrosinistra. Si tratta di due forti leadership che, completandosi, allargano il campo del centrodestra. Il territorio della paura è già saldamente presidiato dalla Lega. Che interrese abbiamo a competere su quel terreno?» Insomma, fosse ancora vivo, Giorgio Gaber dovrebbe aggiungere una strofa ad una delle sue più celebri canzoni: il mal d'Africa è di destra.

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