"Dalle toghe solo critiche e defezioni"
«Quando le critiche sono cieche e non si associano ad alcun riconoscimento, allora sono meno credibili». Angelino Alfano non usa più mezze parole. Con i magistrati è guerra. La strategia è cambiata e il ministro della Giustizia avvisa che non dialogherà più con l'Associazione nazionale magistrati, i cui «ideologismi» e «fumisterie» rendono inefficace il confronto. Il fair play che aveva contraddistinto l'inaugurazione dell'anno giudiziario a Roma di venerdì scorso, sembra lontanissimo. Ora è il momento degli sfoghi. Così, da una parte si schiera l'Anm che in 22 delle 26 Corti d'Appello d'Italia manifestava il «disagio» di fronte alle iniziative «distruttive» sulla giustizia di governo e maggioranza. Dall'altra il ministro della Giustizia, che, durante il suo intervento nell'auditorium della Guardia di Finanza di Coppito (L'Aquila), ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa e non ha perso occasione per attaccare l'Anm: «D'ora innanzi parlerò solo con i capi degli uffici giudiziari». E continua: «Alcuni magistrati si sono mostrati, fino ad ora, poco rispettosi del Parlamento unica istituzione legittimata a fare le leggi e a operare le scelte nell'interesse dei cittadini. Noi abbiamo il massimo rispetto per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, che è soggetta soltanto alla legge. Ma la legge la fa il Parlamento, che agisce nell'interesse dello stesso popolo italiano in nome del quale viene amministrata giustizia». Un'attacco scandito parola per parola che ricorda quello dell'altro ieri quando Alfano accusò l'Anm di strumentalizzare l'inaugurazione dell'anno giudiziario: «Questa giornata è per i cittadini, non per noi». L'altro punto sul quale il Guardasigilli ha voluto chiarire, sia con i magistrati, ma soprattutto con l'opposizione, è il tema delicato della riforma sulla giustizia: «Il Paese non merita la resa su questo tema e noi non intendiamo piegarci alla logica della conservazione. Riformare la giustizia è un dovere verso i cittadini utenti, verso il sistema economico, ma anche verso i nostri figli a cui dobbiamo garantire una giustizia equilibrata, efficiente e seria». Tutto questo mentre in Aula i magistrati restavano seduti ad ascoltare le sue parole. Un gesto di rispetto nei confronti del ministro della Giustizia che, intanto, stava ringraziando il presidente della Corte d'Appello, Giovanni Canzio, per le parole di apprezzamento avute su alcune iniziative del governo quali la digitalizzazione della giustizia e la posta certificata. La massima soddisfazione Alfano se l'è tolta, però, facendo un bilancio sulla protesta dell'Anm: «Sono state numerose le defezioni di magistrati non politicizzati che non condividono la vera ragione della manifestazione, vale a dire «fare campagna elettorale correntizia in vista del rinnovo del Csm». Ma se Alfano esulta per il fallimento, anche dall'altra parte, il presidente dell'Anm, Luca Palamara, si dice soddisfatto: «Oggi per la magistratura italiana è una giornata importante. Abbiamo dimostrato di essere uniti e compatti, non importa quanti hanno manifestato il pacato dissenso. Anche una sola persona basta. In molte città come Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo abbiamo registrato una massiccia e composta adesione a un'iniziativa che non è rivolta contro una persona ma contro una politica». Un tentativo per Palamara di difendere la manifestazione sostenendo che, quella della magistratura, non è «un arroccamento o una contrapposizione, ma un ribadire che in questo modo non si può andare avanti senza riforme della giustizia e con insulti: i magistrati italiani oggi dicono basta». E a proposito di riforme, in giornata arrivavano altre nuove aperture al processo breve, sebbene con tutta una serie di distinguo. Il presidente facente funzione della Corte d'Appello di Milano, Ruggero Pesce, infatti ha spiegato nella sua relazione che «è un ottimo intendimento, ma se lo si attuasse senza la preventiva realizzazione dei presupposti strutturali, normativi e finanziari, si offrirebbe solo il fianco a dure polemiche, come si è visto». Da Palermo, invece, il presidente della Corte d'Appello, Vincenzo Oliveri, tuona contro la mancanza di dialogo all'interno delle istituzioni: «È consolante che la politica si sia finalmente accorta dell'inefficienza del sistema Giustizia e che abbia assunto concrete iniziative per velocizzare il processo civile e penale. È sconfortante però che queste iniziative si muovano su uno scenario di scontro istituzionale».