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Bersani è in bilico già prima del voto

Pierluigi Bersani

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È un po' come se Del Piero dicesse oggi: «Il progetto Juve è fallito, facciamo una Nuova Juventus». Beh, il paragone non è dei più azzeccati, nel senso che forse il talentuoso attaccante bianconero non è poi così lontano dal pensarla in quel modo. Così come è plausibile pensare, d'altro canto, che Ferrara non apprezzerebbe. La provocazione arriva sempre da Torino, dove Sergio Chiamparino ha chiesto di aprire un cantiere in vista delle politiche del 2013 magari cominciando a pensare fin da ora a un possibile candidato - qualcuno ha visto l'abbozzo di un'autocandidatura, visto che il suo mandato di sindaco scadrà tra un anno - potabile per una pluralità di soggetti. Come Ferrara, è plausibile che nemmeno Bersani abbia apprezzato. La reazione è stata civile, ci mancherebbe («Siamo un partito democratico, discutiamo all'aperto, poi marciamo uniti»), ma è fuor di dubbio che non è a lui che Chiamparino alludeva («È andato a zig zag», ha detto). L'uscita di Chiamparino, peraltro, percorre un solco già arato nella recente storia del centrosinistra, quello del «pensare oltre intanto che». La novità assoluta starebbe nello scaricamento preventivo, prima ancora cioè di giocare, ed eventualmente perdere, la partita. Finora, ma non sempre appunto, il centrosinistra cambiava gli «allenatori» a fine stagione, o quanto meno dopo una bruciante sconfitta sul campo. Il primo fu Achille Occhetto, mister ambizioso dei «Progressisti» che oltre all'allora Pds, annoverava tra le proprie fila verdi, socialisti, Rifondazione, la Rete di Leoluca Orlando e perfino l'Alleanza Democratica di Ferdinando Adornato, la mitica Ad («Addì so' bboni tutti, ma affà pochi…», era la battutaccia che girava nella capitale). Quelle prime elezioni della cosiddetta Prima Repubblica, le vinse Berlusconi con una creatura bicefala: Polo della libertà al Nord e Polo del buon governo al Sud. Tra i due colossi una creatura estinta, il Patto per l'Italia, di Mariotto Segni. Sembra preistoria, invece era ieri, il 1994. Lo sconfitto Occhetto se ne andò. Per la successione si ingaggiò un duello davvero inedito - per il passato ed anche per il futuro, ma questo lo si seppe solo più tardi- quello tra D'Alema e Veltroni. Un copione unto e bisunto nel corso degli anni. Nelle protoprimarie che coinvolsero le sezioni Veltroni era in netto vantaggio, in consiglio nazionale prevalse... D'Alema, che da segretario tenne a battesimo l'Ulivo, coalizione che includeva, tra gli altri, Pds, popolari, verdi e il Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, con patto di desistenza con Rifondazione. Prodi candidato premier, l'Ulivo vinse le elezioni, ma - anche allora - non mancarono immediati slanci in avanti. Lo stesso segretario D'Alema, nel 1997, partecipando a uno sciopero organizzato dalla Cgil contro il piano occupazione del governo (praticamente un autogol), disse: «L'esecutivo non risponde alle aspettative della sinistra», sentenziò, e al congresso di quello stesso anno si iniziò a vagheggiare l'idea della Cosa 2, una cosa appunto che doveva aggregare «a sinistra» tutto l'aggregabile. In vista della conquista di un governo, peraltro già conquistato. Nel 1998 la Cosa si realizza parzialmente con uno slittamento di vocale, da Pds a Ds. Fu l'anno anche del varo del governo D'Alema, che lasciò il posto di segretario a Veltroni. Un anno e mezzo a Palazzo Chigi e D'Alema cadde, dopo la sconfitta alle regionali del 2000, 8 a 7 per il centrodestra. Ballò solo per pochi mesi la leadership di Francesco Rutelli, candidato premier in quota Democratici nel 2001 ma sconfitto dalla Casa delle libertà. Tornò di moda il refrain «allargare e superare l'attuale coalizione» fu la parola d'ordine che, a Pesaro, in novembre, valse a Piero Fassino l'elezione a segretario, sostenuto dalla mozione - guarda un po' - che vedeva tra i principali sponsor gli stessi D'Alema e Bersani. Torna in campo Prodi e si pensa alla Fed (federazione dell'Ulivo), ex Gad (grande alleanza democratica) che perde dei pezzi a sinistra, ma che di lì a poco allargherà i confini dell'Unione a Italia dei valori e Rifondazione, nel 2005 vedrà il successo del centrosinistra alle Regionali e nel 2006 riporterà Prodi a Palazzo Chigi. L'Unione dura poco, perché c'è già chi pensa oltre, al Partito Democratico, che si celebra con le primarie e con l'incoronazione di Veltroni. Il leader in carica, Prodi, non apprezzò e nemmeno gli alleati minori, che sfilarono in piazza anche loro contro il «proprio» governo e rilasciavano interviste dove si diceva, quasi con gusto, «che la maggioranza non c'è più, bisogna ripensare a qualcosa di nuovo». Alle elezioni anticipate del 2008 che disarcionarono Veltroni, sono seguite la reggenza del suo vice Franceschini, la sconfitta alle europee e le primarie del 2009 che hanno visto l'elezione di Bersani. Che oggi qualcuno vorrebbe accantonare, prima ancora di vederlo scendere in campo. Sconfitto a tavolino.  

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