Ornella Muti: "L'Italia è un Paese meraviglioso Ma quanti moralisti!"
Qualche mese fa alla Muti e a sua figlia Naike Rivelli fu proposto di lavorare in un film in cui compariva anche Noemi Letizia. «È vero», confida. «Ma la sceneggiatura non ci convinse, e non se ne fece nulla. Magari diventerà bravissima a recitare, perché no? Non è che può restare marchiata a vita per una festa di compleanno». Ornella, che dire di chi attaccò Berlusconi con il gossip? «È stata un'indegna caccia alle streghe. Il premier va lasciato lavorare serenamente. Andrà giudicato per quel che farà per il Paese, non per le sue scelte nella vita privata. E poi, chi ha il diritto di giudicare? Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, in troppi fanno i moralisti a buon mercato». I segreti, le rivelazioni. Uno spaccato di certa Italia con gli scheletri nell'armadio andrà in scena da stasera al Teatro Traiano di Civitavecchia, dove la Muti debutta con "L'ebreo" di Gianni Clementi, per la regia di Enrico Maria Lamanna. In scena con lei Pino Quartullo ed Emilio Bonucci. A Roma approderà al Valle il 23 febbraio. Spiega l'attrice, neo-bionda platino: «Naturalmente, abbiamo discusso questo testo con la comunità ebraica, che l'ha approvato. Quando negli anni Quaranta entrarono in vigore le leggi sulle discriminazioni razziali molti ebrei vollero difendere i loro beni da eventuali espropri intestando case e negozi a prestanome ariani. Qualcuno li detiene ancora, ne conosciamo i nomi. Dopo 13 anni dalle deportazioni del '43, il vecchio proprietario bussa alla porta del suo splendido appartamento nel Ghetto della capitale, e i due suoi beneficiari progettano di ucciderlo pur di non ritornare a condurre la misera esistenza di prima. Il mio personaggio, Immacolata, è quello di una sordida Lady Macbeth in salsa romanesca. Anche qui, ecco le meschinità di noi italiani. Ci crediamo dentro il Mulino Bianco, tutti perfetti, favolosi, inattaccabili, ma non siamo così» Ma questa è una caratteristica solo italiana? «Se avessimo più coraggio nell'ammettere le nostre fragilità potremmo controllarle meglio. Invece stiamo sempre lì con dito puntato: "Tu hai fatto questo, e adesso paghi". Dovremmo essere più consapevoli dei nostri limiti e di quelli degli altri». Lei vive a Montecarlo. Questo l'aiuta a vedere le questioni italiane con maggior distacco o le sembrano più misere? «Criticare gli altri è uno sport nazionale. Una volta un giornalista famosissimo scrisse: "La Muti si attribuisce un'anima". Che voleva dire? Che non merito un'anima? Che sono una bestia? Poi mi incontrò e si profuse in mille scuse». Chi era quel giornalista? «Non farò mai quel nome». Mettiamola così: come vede l'Italia? «M'indigno perché troppo spesso si spreca tempo a giudicare gli altri. Ma amo moltissimo il mio Paese. Da troppo tempo è sottoposto a prove estremamente dure. Anche questi continui rovesci al potere: cinque anni qui, cinque lì, cinque a destra, cinque a sinistra. E poi si ricomincia. Oggi le pensioni, anzi no le tasse, decidiamo, ripensiamo, aboliamo. Poveri italiani. Ma perché, per dirne una, dobbiamo andare a curarci con le staminali in Thailandia? Perché si devono spendere tanti soldi per salvarsi la vita?». La classe politica non funziona? «L'abbiamo ridicolizzata in tutte le maniere. Siamo riusciti a fare in modo che all'estero li guardano e ridono. Siamo noi stessi, però, ad esserne responsabili». Però cosa? «Non li difendiamo neppure. Vorrei evitare di parlare di politica. Non sono diplomatica». Se lei fosse presidente del Consiglio per un giorno cosa farebbe? «Ma che ne so. È comodo dirlo così, stando seduti a un tavolino. Quando ti danno in mano un Paese è tutto tremendamente difficile da gestire. Ti trovi a risolvere anche problemi creati dal partito prima di te. Il debito. Facile dire: "Adesso ristrutturerei le carceri, cambierei la Costituzione". Solo dopo cominci a capire. Dai una cosa a uno, affronti una questione, intanto un altro ti pugnala alle spalle». Una cosa che vorrebbe fosse fatta, almeno. «Ce ne sono tante. Una per esempio è l'Alta velocità. I Verdi ce l'hanno ostacolata e ne capisco pure le ragioni. Ma tutto il mondo si muove, ora anche la Cina ce l'ha. Ogni tanto mi sembra che rimaniamo un po' indietro, non ci stiamo modernizzando abbastanza». Come vede Roma? «Non invidio chi deve risolverne i problemi, come quello annoso del traffico. Ma resta una città meravigliosa, generosissima, bella come poche. Romantica come nessun'altra. Lussureggiante. Passeggiare d'estate nella città deserta, con i tramonti incantati. Sogno che Roma possa estendersi e aprirsi davvero fino al mare, come Rio, o Barcellona. L'anno scorso abbiamo fatto il Capodanno dalla collina di Monte Mario, si vedevano i fuochi, era uno spettacolo fantastico. Quando ero adolescente vivevo a San Giovanni, all'Eur, dietro la Farnesina. Ogni angolo aveva la sua magia. Poi c'erano i doveri. Accompagnavo spesso ai musei o ai Fori Imperiali i parenti di mia madre, che è estone». E che al tempo era cittadina sovietica. «Quando lavoravo in Urss vivevo il suo dolore per non potersi mai ricongiungere alla famiglia. Capivo che quel comunismo non avrebbe mai potuto trionfare da noi. Gli italiani amano la libertà, per fortuna. L'importante è non spingerli verso il pressappochismo, la furbata, l'inganno della legge. Dovremmo essere educati al rispetto delle regole. A Parigi, tanti anni fa, fu proclamato uno sciopero generale. Tutti, ma dico tutti, ne accettarono le conseguenze. Poi magari i francesi si aiutavano fra loro per come potevano. Anche in questo, i politici dovrebbero tutelarci. Non possiamo accettare che le case crollino come castelli di carte, uccidendo delle bambine. O che dei pilastri mancanti aggiungano tragedia alla tragedia del terremoto, come è accaduto all'Aquila negli alloggi degli studenti». Suo padre, invece, era un giornalista. «Ma lo scoprii solo quando morì. Per me era il papà che mi raccontava favole, che faceva mille cose. Non importava il suo mestiere». Eppure questo ricordo dovrebbe riconciliarla con la stampa. «Hanno scritto ogni menzogna possibile su di me. Hanno distorto ogni mia frase, perfino i miei silenzi. Giorni fa qualcuno ha infilato a forza, in una mia intervista sulla chirurgia estetica, un "poveraccia" rivolto a Claudia Mori, che non avevo mai pronunciato. Anzi, trovo che quella donna sia approdata alla sua età matura restando bellissima. Ha un volto pieno di luce. Ma dopo tanti anni c'è ancora qualcuno che ha bisogno di speculare accostando me a Celentano». Torniamo a parlare di Roma. Qui c'è la Festa del Cinema. Non sarebbe il caso che le chiedessero di fare da madrina della prossima edizione? «Non mi pare elegante che io rivolga un appello di questo genere». Si sente spesso dire: il nostro cinema è morto. «Qualcosa di buono c'è. Qualche giovane regista, degli attori emergenti. Mancano i produttori di una volta, quelli che rischiavano di tasca propria. Aurelio De Laurentiis e Citto Maselli mi vollero in un remake de "La voce umana" di Cocteau, quella che era stata originariamente interpretata dalla Magnani. Puntarono su una pellicola incentrata tutta su di me. Mi pareva una follia. Per giunta, ero incinta di mio figlio Andrea. Ma a Venezia piacque. Chi farebbe una simile scommessa, oggi?». Ricorda il suo debutto sul set? Aveva 15 anni. «Lo ricordo come un incubo. Fui praticamente strappata ai banchi di scuola. Damiano Damiani mi sembrava un orco, mi trattava malissimo. Ero una bambina, e pretendeva recitassi come Meryl Streep. "Piangi", mi urlava con asprezza, "devi piangere!". Mi sentivo persa, catapultata ad Alcamo, nella realtà della Sicilia di quarant'anni fa». Era «La sposa più bella», la storia di Franca Viola, la prima donna a denunciare il fidanzato che l'aveva costretta alla "fuitina". La incontrò mai? «No, ma ne ammirai il coraggio e l'orgoglio. Voleva difendere la propria dignità, anche in un rapporto programmato dalle famiglie». Invece oggi molte ragazze vengono accusate di scegliere scorciatoie sessuali verso la notorietà. «Questo è ciò che la nostra società ci offre. La colpa non è delle giovani, ma di chi fa credere loro che la visibilità effimera può far muovere molte cose. Come giudicarle?» Quanti corteggiatori nella sua vita, Ornella? «Nel cinema ci provano in tanti, troppi. Così a me piace ricordare la grandezza d'animo di Ugo Tognazzi. Nel '74 girammo insieme "Romanzo popolare", e lui mi trattava come se fosse un fratello maggiore. Mi riempì di schiaffi, però. Monicelli gli ripeteva sempre: "Dalle due pizze come si deve, altrimenti dobbiamo rifare la scena un'altra volta". Però era generosissimo. Era lì in cucina, la sua grande passione. Cucinava per trecento persone e si sentiva felice». Come si vede fra venti o trent'anni? «Non mi vedo. Ho 55 anni e voglio vivere pienamente la mia età, che è ricca di meraviglie. Il mio uomo, Fabrice, mi ama per quel che sono. Ha approvato il mio capriccio di farmi bionda, non creerebbe ostacoli se io volessi cambiare il mio aspetto. Il passato non c'è più, il futuro non esiste, dunque perché pensarci? Oggi ho solo l'ansia per questo mio esordio in teatro. Vorrei fuggire lontano. Ma non lo farò».