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Il Pdl vota il taglio ai big-stipendi. Poi fa retromarcia

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Chesi sia trattato di un errore, una distrazione o una semplice sbadataggine, poco importa tanto il risultato non cambia: la maggioranza e il governo, votando favorevolmente l'emendamento presentato dal senatore dipietrista Elio Lannutti, hanno, di fatto, messo fuorilegge quasi tutti i vertici delle società quotate in borsa. Proprio così, dato che il loro stipendio supera, di gran lunga, quei 248mila euro lordi che l'emendamento pone come tetto massimo per le loro remunerazioni. Un tetto equiparato a quello che prendono i parlamentari e che molti esponenti del Pdl ritenevano essere la naturale conseguenza di un altro emendamento, questa volta presentato dal governo e appena approvato, che sanciva l'obbligatorietà per le società quotate di rendere pubblici gli stipendi dei manager. Il primo a fare retromarcia è stato il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi che, mentre la maggioranza votava, rappresentava in Aula, come competente sulla legge comunitaria per il 2010, il Governo: «È stato un errore. Vi porremo rimedio» facendo riferimento al fatto che il provvedimento, ampiamente modificato nel passaggio a Palazzo Madama, dovrà a breve tornare alla Camera dove sarà possibile mettere una pezza allo strappo. A dar man forte al ministro ci pensa anche Giacomo Santini, il relatore di maggioranza che in Aula aveva presentato l'emendamento dell'Idv sostenendo che «ormai i tempi sono maturi per introdurre un tetto agli stipendi dei menager e anche il divieto di stock option»: «Il governo non si tira indietro. Sta solo pensando alle modalità con cui applicare queste norme, per questo ha chiesto un pò di tempo» Critiche invece arrivano dall'opposizione che schiera in prima linea l'Italia dei Valori con Lannutti che dopo l'esultanza dell'immediato dopo-voto («Una decisione storica») ha attaccato: «Adesso abbiamo capito da chi è giunto l'ordine alla maggioranza di fare marcia indietro sul tetto agli stipendi dei manager. Confindustria non ha perso un minuto e ha condannato il voto unanime espresso mercoledì dal Parlamento sul mio emendamento alla legge Comunitaria. Si tratta della solita classe di imprenditori abituata a capitalizzare i profitti e socializzare le perdite. Confindustria farebbe bene, invece di scaldarsi tanto su stipendi e stock option, a tener conto dei lavoratori che hanno passato il Natale al freddo sui tetti per difendere un salario da fame per sè e per le loro famiglie. È una questione di giustizia sociale. Le imprese ricevono fior di incentivi statali che invece di utilizzare per evitare ai lavoratori di finire per strada servono per pagare i propri massimi dirigenti».

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