Shoah, il ricordo della politica "La tragedia che insegna"
È il giorno del ricordo. Appuntamenti, celebrazioni, mostre, commemorazioni. Un programma variegato che ruota attorno ad un unico grande obiettivo: non dimenticare gli orrori del nazismo, le deportazioni nei campi di concentramento e lo sterminio di massa compiuto nei lager con sistematica ferocia. Il Quirinale, la Camera, il Vaticano: la celebrazione del 65°anniversario della Shoah va in scena in modo solenne. Parlano il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente della Camera Gianfranco Fini, il Papa ed Elie Wisiel, scrittore e premio Nobel per la pace sopravvissuto all'Olocausto a cui va l'onore - tributato finora solo a re Juan Carlos e a Giovanni Paolo II - di parlare davanti alla Camera dei deputati riunita. È diretto e appassionato Wiesel, critico quando dice che neppure «Auschwitz ha guarito il mondo dall'antisemitismo», ma anche pieno di speranza quando sostiene che la pace tra israeliani e palestinesi arriverà. La giornata inizia al Colle con la premiazione di alcune scolaresche e la consegna della medaglia d'oro al valore civile alla signora Emilia Valori. Napolitano ricorda che la Shoah è «una tragica esperienza carica di insegnamenti e di valori» che valgono per l'oggi. Il capo dello Stato non perde l'occasione per ricordare che i diritti dei popoli sono inalienabili ed è un «ideale comune la lotta per la libertà e per il pieno riconoscimento, in modo specifico del popolo ebraico e dello Stato di Israele, del diritto a vivere in sicurezza». Il Papa, poi, sceglie di parlare in tedesco all'udienza generale del mercoledì, per denunciare «l'orribile crimine» che «la megalomania disumana e l'odio razzista dell'ideologia nazista portarono in Germania». Alla Camera la cerimonia protocollare è stata incentrata sull'intervento di Eli Wiesel. Nell'Aula al fianco del presidente della Camera, Gianfranco Fini, c'erano Berlusconi e lo stesso Napolitano. Fini ha esortato a «guardare con viva preoccupazione all'indifferenza che ancora in questi giorni circonda il rinnovarsi di fenomeni antisemiti, razzisti, xenofobi, e anche, sembra incredibile ma è vero, il rinnovarsi di minacce di sterminio». Per Fini rendere testimonianza dello sterminio del popolo ebraico non è solo il doveroso ricordo di milioni di nomi e di storie ma anche «un presidio morale e civile, affinché mai più accada che l'aberrante logica di un potere totalitario si abbatta sugli inermi, sugli innocenti, su interi popoli contro i quali decretare le discriminazioni più odiose per motivi di razza, di religione, di genere, di condizione sociale, in una folle progressione criminosa capace di raggiungere il genocidio». Tocca poi al premier sottolineare che la memoria della Shoah è un dovere perché tutto ciò non possa più accadere. «Il ricordo della Shoah è uscito dallo stretto ambito privato ed è stato affidato alle Istituzioni il compito di rendere omaggio alle vittime e di proteggere le future generazioni da deliranti ideologie ispirate dall'odio razziale». Dal mondo politico, dunque, arriva il ricordo dell'orrore dei campi di sterminio dove morirono sei milioni di persone e il monito a non scordare mai quella lezione. In aula a Montecitorio Elie Wiesel attacca il presidente iraniano Ahmadinejad con il quale «non si può trattare» e che anzi «andrebbe portato davanti al tribunale internazionale dell'Aja per istigazione a crimini contro l'umanità». Ma lui, - numero A7713 tatuato sul braccio ad Auschwitz - non rinuncia a rivendicare di credere fermamente nella pace: «La speranza - dice - deve esserci sempre. La pace fra Israele e i palestinesi è ancora un sogno, ma un giorno arriverà, credetemi». «Se Israele - continua - ha potuto farla con la Germania, potrà farla con i suoi vicini». Da Trieste, poi, dove ha visitato la risiera di San Saba il presidente anche il presidente del Senato Renato Schifani lancia il suo appello: «Ogni uomo è ebreo, anche io».