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Puglia, disastro D'Alema

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Massimo D'Alema

E con Casini naufraga l'intesa

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Dopo il danno la beffa. A metà pomeriggio, quando ormai il risultato delle primarie pugliesi è stato ampiamente digerito (67,2% per Vendola, 32,7% per Boccia), il neocandidato alla presidenza della Regione pensa a Massimo D'Alema. E dichiara: «Non credo che D'Alema sia lo sconfitto di queste primarie. Sarebbe ingeneroso affermarlo. D'Alema ha combattuto una battaglia con grande generosità. Francesco Boccia ha combattuto una battaglia difficilissima. Credo che insieme abbiamo vissuto una esperienza straordinaria». «I dissensi che avevamo fra di noi - prosegue - non li abbiamo affrontati in un ring di pugilato in un palazzo chiuso. Abbiamo deciso che la sovranità su decisioni così delicate fosse ceduta al popolo. Abbiamo condiviso questa idea. Il Pd e D'Alema hanno avuto il coraggio di accettare questa perdita di sovranità». Parole distensive dopo gli scontri degli ultimi giorni. Parole che, però, non cancellano un dato fondamentale: neanche nei suoi peggiori incubi D'Alema sognava questa scena. Lui che si è speso in prima persona per Boccia e per quell'alleanza con l'Udc che avrebbe trasformato la Puglia in un laboratorio dell'opposizione da esportare poi a livello nazionale. Lui che ha chiesto e ottenuto che la sua nomina a presidente del Copasir venisse rinviata ad oggi per consentirgli di partecipare alla campagna elettorale delle primarie. Eccolo lì, costretto ad assistere al rito del vincitore che concede l'onore delle armi allo sconfitto. Con un aggravante: lo sconfitto è lui. L'uomo che, ancora pochi giorni fa, si autocelebrava: «Io non ho mai perso un'elezione, non ho mai perso un Congresso... Aspettiamo di vedere come va a finire e poi ne riparliamo». Ora è finita. E non bene. Anzi, a voler essere sinceri il risultato delle primarie pugliesi è stato, per il lìder Maximo, un vero disastro. Anche la «sua» Gallipoli lo ha tradito decretando la vittoria netta di Vendola. E l'impressione è che il risultato non sia solo il frutto della popolarità del governatore uscente. È indubbio che una parte del Pd abbia remato contro, ma è altrettanto indubbio che in molti, con il voto di domenica, abbiano voluto testimoniare la loro profonda insofferenza nei confronti di quello che considerano il vero padre-padrone del Pd: Massimo D'Alema. Il segnale che arriva dalla Puglia non è sicuramente incoraggiante. Anche se il segretario Pier Luigi Bersani prova a salvare il salvabile. Lo fa davanti alla Direzione del partito, l'organo che riunisce tutti i big del Pd. «Siamo stati coerenti con la strategia di allargare l'alleanza - spiega - ma in Puglia non siamo stati capiti». Poi rilancia infastidito: «Non c'è stata nessuna sconfitta né schiaffone in Puglia le primarie le abbiamo inventate noi sappiamo che chi perde aiuta l'altro. Quella che ora può apparire come una debolezza rivelerà una forza e si vedrà che il Pd non è nella riserva indiana. Siamo competitivi e ce la giochiamo». Non tutti i presenti, però, condividono l'analisi. L'immagine del Pd (complici anche le dimissioni del sindaco di Bologna Flavio Delbono) non è proprio quella di un partito in buona salute. E forse è per questo che la minoranza accetta di rinviare la resa dei conti a dopo le Regionali. Ora è il momento di remare tutti insieme nella stessa direzione. Anche se le critiche non mancano. Per la vicepresidente del partito e coordinatrice dell'area franceschiniana Marina Sereni il Pd «più che allargare al centro, sta perdendo pezzi al centro». Mentre Pierluigi Castagnetti non ha dubbi: «Quando il risultato è 73% per Vendola e 27% per Boccia si capisce la distanza dei dirigenti». Anche la presidente Rosy Bindi, bersaniana di ferro, chiede un ripensamento ritornando alla linea del congresso («allargare all'Udc ma non sostituire l'Udc agli alleati tradizionali»). Nessuno, però, punta apertamente il dito contro D'Alema che resta in silenzio e, dopo la relazione di Bersani, si alza e abbandona la Direzione. Dopotutto quello che doveva dire lo aveva già affidato ad una nota ufficiale diramata in mattinata. Sostegno leale a Vendola, un ringraziamento a Boccia e un invito all'Udc a non tornare indietro rispetto «alle alleanze che sono state costruite». E se Pier Ferdinando Casini lo difende («tutto si può dire di lui ma non certo che non si sia assunto le sue responsabilità battendosi in Puglia per la sua idea politica»), veltroniani e ulivisti doc attaccano senza esclusione di colpi. «Sono venuto qui per ascoltare dalla viva voce dei dirigenti che hanno diretto la vicenda in Puglia - spiega Arturo Parisi alla sua prima apparizione alla Direzione - la loro spiegazione. Purtroppo i dirigenti hanno ritenuto di non partecipare al dibattito e il segretario non ha potuto spiegare quello che solo D'Alema, Latorre e Enrico Letta avrebbero potuto illustrare». Ancora più duro Giorgio Tonini, fedelissimo di Veltroni: «Non è solo una sconfitta di D'Alema, ma di tutta la maggioranza del partito». Insomma ancora una volta il referendum sul lìder Maximo catalizza le energie dei Democratici. Una storia vecchia come il mondo che ha via via dilaniato il Pci, il Pds, i Ds e, oggi, il Pd. Un anno fa Beppe Grillo, sul proprio blog, pubblicò una serie di necrologi in anticipo di esponenti politici. Toccò anche a D'Alema. L'anno della sua prematura scomparsa dalla politica italiana? Il 2010.

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