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La Sinistra annientata da troppo sesso e bugie

Flavio Delbono

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La frottola che per un uomo politico le dimissioni sono l'ultima cosa a cui pensare, la carta da giocare prima del suicidio, è una storia che ha le gambe corte. Qualche volta le dimissioni sono una scappatoia per sfuggire ai riflettori, imboscarsi nel comodo anonimato, sottrarsi allo scrutinio scassaballe dei giornalisti. Detto questo, la piccola catena di dimissioni che ultimamente lega le storie meno edificanti degli amministratori di razza democrat ci pone di fronte al rischio che la dimissione dei singoli sia l'anticamera della dismissione di un intero partito. Allora, l'abbiamo detto mille volte e adesso sono mille e una: è finito il comunismo, Marx è morto e nemmeno i postcomunisti si sentono benissimo. Ma da un piccolo malanno stagionale, anche se la stagione politica è lunga, a una malattia che sta devastando il corpo di ciò che fu la grande tradizione della sinistra italiana, il passo è lungo, accidentato e pericoloso. La catena di dimissioni-dismissioni che da Piero Marrazzo arriva a Flavio Delbono, mettendoci a cavacecio la storiaccia del Bianchini Luca dirigente democratico e stupratore meno democratico, segnala molte, troppe cose. Segnala che il vanto della diversità morale è ricordo antico di un'era che, retrospettivamente, forse non è mai esistita. E segnala che il sesso, nella sua versione morbosa, nel caso Marrazzo, omicida, nel caso Bianchini, e ridicola, nel caso Delbono, sta diventando il tormento del Partito democratico più e peggio delle turbe adolescenziali di un giovane seminarista. Il silenzio pressoché totale delle femministe, eccezion fatta – mi pare – per Ritanna Armeni, di fronte al Cinzia-gate, che sarà ridicolo e patetico quanto ci pare ma sempre storia è di amanti, di borse e vestiti regalati alla fidanzatina come sostitutivo di coccole e sicurezza di coppia, mostra l'immagine (al di là degli eventuali profili penali, che non mi interessano) di un uomo che pare uscito da una commediola italiana degli anni Cinquanta, quelle commediole un poco morbose dove c'è l'amante che si sente tradita e, vista la mala parata, decide di sputtanare il “di lui” in pubblica piazza per la serie: tu m'hai lasciato, e io ti fotto la carriera. Che strazio. E che salto indietro nel tempo, che deviazione rispetto all'immagine di diversità etica che il Pd ha cercato di opporre di fronte alla goliardia berlusconiana in nome del rispetto della dignità della donna. Su Marrazzo c'è poco da aggiungere, se non che, in questo caso come il quello di Delbono, le istituzioni, le amministrazioni paiono diventare luoghi utilizzati strumentalmente per soddisfare i propri desideri, le voluttà di uomini politici che non riescono a reggere il peso della doverosa distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata. Non è necessario essere moralisti o guardoni per restare perplessi, tristemente perplessi, di fronte allo spettacolo di un partito che intima a un sindaco (e prima a un presidente di Regione) di abbandonare la scena pubblica per limitare i danni. Qui non si tratta di un gesto doveroso, ma del mero tentativo di non sputtanarsi troppo, in questa gigantesca puttanopoli della coscienza e della vita politica. Di questo passo, per salvare il salvabile, il Pd si costringerà alla trasformazione in un partito sessuofobico, come il vecchio Pci al tempo dell'amore Togliatti-Iotti.

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