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Frattini, trattare coi talebani Germania, ultimo rinforzo

Talebani in Afghanistan

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Doppio summit nella capitale inglese: oggi, in particolare, sullo Yemen alle prese con i ribelli sciiti; domani sull'Afghanistan. E proprio in merito all'appuntamento di giovedì, l'Italia si presenta alla Conferenza di Londra come uno dei primi Paesi ad aver «intuito» che la soluzione al rebus afghano potesse passare attraverso un dialogo. Negli anni passati è stato un percorso scartato con fastidio dall'amministrazione Bush: ora si presenta come «strategia ufficiale» della coalizione, con la benedizione di Barack Obama da Washington e dei generali americani che tirano le fila sul terreno sempre più insidioso. Infatti, da due anni, appena rientrato alla Farnesina, Frattini ha cominciato a lavorare e ad approfondire un'idea che era stata già Massimo D'Alema a lanciare nel suo (breve) periodo alla guida della diplomazia italiana. Trovando, a differenza del suo predecessore, una sponda fondamentale nel nuovo approccio «dialogante» impresso dall'amministrazione democratica di Obama. Secondo Frattini, presente a Washington al Dipartimento di Stato con Hillary Clinton, «serve una soluzione politica: una riconciliazione nazionale, senza tuttavia fare confusione tra chi vuole dialogare e chi invece non rinuncia alla violenza». L'obiettivo, va ripetendo ormai da mesi il titolare della Farnesina ai suoi collaboratori, è quello di non scendere a patti coi combattenti legati ad Al Qaida o con quei talebani che continuano a macchiarsi le mani del sangue dei soldati alleati. Bensì dialogare con tutti gli altri, offrendo loro delle prospettive «alternative» alla guerriglia: formazione, lavoro e riconversione delle colture dell'oppio, grandi foraggiatrici del network del terrore. Il che, ovviamente, ha un costo per la comunità internazionale - quantificato in un miliardo di dollari - e va inserito in una cornice di sicurezza. Non a caso l'Italia ha risposto con 1.000 soldati aggiuntivi al «surge» programmato dagli Stati Uniti e dalla Nato nei mesi scorsi, pur con un limite temporale definito alla presenza delle truppe: il 2013. Infatti Roma, inseieme con gli alleati, sostiene assieme la necessità di una «afghanizzazione» della questione sicurezza. E le prime bozze di conclusioni che girano in questi giorni fra le cancellerie dei Paesi che si ritroveranno domani a Londra indicano nell'inizio del 2011 il passaggio di consegne fra le forze Nato e l'esercito afghano, almeno in alcune delle province meno pericolose del Paese.   Sempre di lotta al terrorismo - in una Londra blindata per l'allarme attentati lanciato dai servizi - si parlerà oggi pomeriggio al Foreign Office alla riunione internazionale sullo Yemen: una «mini-conferenza» fortemente voluta dal premier britannico Gordon Brown all'indomani del mancato attentato al volo Amsterdam-Detroit, il cui autore era il giovane nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, addestrato nelle basi qaediste yemenite. Bisogna impedire che lo Yemen, un Paese che non ha il controllo del suo territorio e dove la porosità dei confini è evidente, diventi «un altro Afghanistan», ha avvertito nei giorni scorsi Frattini.  

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