Nel Pd è tutti contro tutti Anche Prodi scarica Bersani
E poi si lamentano perché il Pd non ha un’identità chiara e definita. Non è vero. C’è una cosa che fa dei Democratici un partito unico nel suo genere. Non è il riformismo. Né la capacità di unire e sintetizzare culture che sulla carta appaiono distantissime. Il vero tratto distintivo e identitario del Pd è «l’azzoppamento» sistematico di ogni segretario. È successo con Walter Veltroni, con Dario Franceschini e, ora, con Pier Luigi Bersani. Certo, non siamo ancora alla «notte dei lunghi coltelli», l'appuntamento elettorale di marzo ha imposto una tregua forzata. La minoranza avanzerà qualche richiesta sulle liste elettorali. Porterà a casa un po' di poltrone. Ma il vero scontro con la maggioranza si svolgerà solo dopo le Regionali. Il che non significa che le ostilità siano definitivamente cessate. Anzi la novità più significativa è che le voci maggiormente critiche nei confronti del segretario, stavolta, si alzano all'interno dell'area bersaniana. E non si tratta di personaggi qualunque. Già lunedì, dopo l'esito disastroso delle primarie pugliesi, il presidente del partito Rosy Bindi aveva chiesto un ripensamento della strategia. Ieri ha rincarato la dose: «Il progetto con l'Udc rimane in piedi. Ma io sono molto realista e vedo bene che, prima dei risultati delle primarie in Puglia, l'Udc ha concluso o sta per concludere accordi con il Pdl in due regioni importanti come Campania e Calabria». Ancora più critico l'ex segretario centrista Marco Follini che sul Riformista ha scritto: «Abbiamo a lungo obiettato a Berlusconi che il suo era un partito di "plastica". Non vorrei che finissimo per opporgli un partito di ovatta. Soffice e leggero, mobile quanto basta, ma al fondo privo di una sua consistenza e soprattutto di una sua direzione». Per Follini sarebbe «ingeneroso» caricare la croce sulle spalle di Bersani ma sarebbe «decisamente rovinoso far finta di niente. Un conto è tracciare una rotta, un altro è esprimere desideri e velleità. La differenza l'abbiamo appena vista». Ma il vero pezzo forte è nientepopodiméno che il padre nobile del Pd: Romano Prodi. Da quando ha lasciato la politica attiva il Professore aveva interrotto il suo abituale silenzio solo per qualche comunicazione ufficiale. Una di queste era stata la dichiarazione di sostegno nei confronti di Pier Luigi Bersani. Ieri, invece, gli ha assestato un colpo da ko. L'ex premier ha scelto le pagine di Repubblica (probabilmente il giornale della sinistra più ostile alla gestione bersaniana) per esprimere un paio di concetti chiari sul «caso Delbono». In fondo è stato lui il principale sponsor del sindaco bolognese dimissionario. Ma l'analisi del Professore va ben oltre i confini del capoluogo emiliano. «Tre settimane fa - racconta - ero a Campolongo a sciare. In fila per lo skilift la gente mi fermava e mi chiedeva solo questo: ma chi comanda nel Pd?» Una domanda a cui Prodi non sa rispondere anche perché, confessa, «la cosa che mi dispiace è vedere che ormai sembra sempre più debole la ragione dello stare insieme. Quello che manca è il vecchio spirito dell'Ulivo». Lo schiaffo del Professore non piace a Bersani che contrattacca: «Per Prodi ho affetto e rispetto inattaccabile, anche quando gli si attribuiscono cose su cui non sono d'accordo». Un modo carino per gettare qualche dubbio anche sulla veridicità del colloquio e punzecchiare Repubblica. Ma il dado è tratto. Anche perché l'ex premier non smentisce una virgola delle frasi che gli vengono attribuite. Nel frattempo il Pd piomba in un silenzio irreale. Nessuna replica al Professore, nessuna difesa del segretario. Solo in serata, intervistato dal Tg1, l'ex presidente del Senato Franco Marini ricorda che «Bersani è diventato segretario con la partecipazione di qualche milione di persone alle primarie. Quindi è un segretario fortemente legittimato e che ha una maggioranza stabile negli organi del partito». A guardare cosa sta succedendo in giro per l'Italia non sembrerebbe.