Fini: no invasioni di campo
Equesto per evitare che la politica attenti all'indipendenza della magistratura e che la magistratura invada in maniera eccessiva la sfera della politica. Trasformando giudici e Pm in «controllori di virtu» di leader e partiti. La posizione espressa dal presidente della Camera Gianfranco Fini, durante la presentazione del libro di Luciano Violante «I magistrati», sembra la premessa per la nuova fase di riforme che tutte le forze politiche reclamano a gran voce, ma che, probabilmente, prenderà il via solo dopo le elezioni regionali. È chiaro, spiega Fini nel suo intervento, che non si può più pensare ad un magistrato che sia solo «bocca della legge» come diceva Montesquieu, ma allo stesso tempo, si deve anche porre un freno all«'esasperata giuridicizzazione della vita sociale». Le toghe, cioè, dovrebbero avere un margine di discrezionalità meno ampio. E si dovrebbe interrompere quella sorta di «protettorato» dei Pm che è cominciato in Italia con il dopo Tangentopoli. Fini lancia l'allarme sul fatto che ormai il diritto penale sia diventato «un modo normale di legiferare». Ma allo stesso tempo avverte tutte le forze politiche che «non si può condizionare in nessun caso l'indipendenza della magistratura con norme che mirino alla sua sottoposizione politica». Politica e toghe, insomma, è la sintesi del suo pensiero, devono cambiare, riuscendo a trovare un equilibrio. E per arrivare all'equilibrio, non c'è che una strada: quella delle «riforme» da fare, possibilmente, tutti insieme. Sul tappeto però, almeno per ora, di leggi sulla giustizia che contano ce ne sono sostanzialmente due: il ddl sul processo breve e il testo sul legittimo impedimento che oggi, come previsto, ha cominciato il suo iter in Aula, alla Camera. Due leggi che Pd e Idv continuano a definire «ad personam».