La riunione di Arezzo era nata contro Fini Invece sancisce un nuovo clima di unità
Scajolae Tremonti sullo stesso palco. Si lanciano qualche messaggio incrociato appoggiato su comoda ovatta e accompagnato da complimenti reciproci. Non ci sono più i finiani. Parla Italo Bocchino e nessuno fischia. Vabbè, aspettiamo Adolfo Urso. Niente. Anzi, pure qualche applauso. Fitto e Quagliariello finiscono allo stesso tavolo per cercare una soluzione comune per trovare, in poche ore, un candidato per la Puglia: i due, si sa, avevano fin qui idee e candidati da sostenere opposti. Oddio, ma che succede? Sullo stesso palco siedono sei ministri contemporaneamente. Poi ne arriveranno altri due. Si alterneranno ai quattro capigruppo che, e anche questo si sa, difficilmente parlano la stessa lingua. La convention di Arezzo è l'evento più importante del Pdl dal congresso. E in effetti è proprio un mini-congresso con almeno mezzo governo. Era la manifestazione di Destra protagonista, la componente maggioritaria di An, quella più berlusconiana. E forse in questa due giorni si gettano le basi per il nuovo correntone del partito unitario. Presto per dirlo anche perché quella che si dichiara minoranza di fatto partecipa ai lavori. Arriva nel pomeriggio anche Urso in rappresentanza della fondazione finiana Farefuturo. Pure i giovani decidono di non farsi la guerra. Il week end aretino era nato come prova di forza proprio contro Fini nel momento di massimo scontro contro il premier. Era novembre. Il clima è opposto. Il presidente della Camera manda un messaggio che stempera: «Il Pdl sia un partito plurale basato sul confronto». Tremonti replica quasi sussurrando: «Io ho inventato l'espressione "monarchia temperata". Oggi stanno emergendo elementi di discussione profonda e sta aumentando il tasso di democrazia. Ma io ho l'impressione che resti la monarchia». Altro tema caldo le tasse. Scajola, a voce bassa, propone: «Nei tempi che potremo sono convinto che se la crescita sarà più alta di un punto, il ministro dell'Economia potrà proporre che già a fine anno si possa individuare un percorso». Tremonti fa sapere di rimbalzo: «Vogliamo evitare a questo paese la macelleria sociale e non c'è riduzione fiscale che valga quanto conservare la sanità, le pensioni e la sicurezza». Dice che le tasse andranno già quando ci sarà la ripresa e la sua unica certezza è che quando arriverà il centrodestra sarà ancora al governo. E quando si va in difficoltà si spara sulla sinistra. Il titolare dell'Economia per esempio non ribadisce il no alla riduzione degli anni necessari per ottenere la cittadinanza (lo fece in faccia a Fini alla festa del Pdl a Milano nel settembre scorso), la prende larga e alla domanda diretta non risponde. E le differenze? E le spaccature? E le polemiche? Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi la butta giù così: «Se a un militante del Pd chiedete "ma voi chi siete?", vi risponderà che gli servono tre ore. Se la stessa domanda la fate a uno di noi la risposta è semplice: "Siamo quelli che stanno dalla parte della vita"». Definizione tanto larga che sembra vaga. Ma basta a strappare un applauso convinto. L'anima del partito è e resta quella. È ovazione quando nel pomeriggio la ministra Giorgia Meloni ribadisce l'intenzione di andare avanti nella battaglia a difesa del crocifisso e sentenzia: «La maggioranza degli italiani crede in Dio. E chi si offende può anche andarsene». Niente svolte laicistiche. Gasparri ricorda che il Pdl è nato al congresso ma è maturato nella vicenda Eluana. E mette dunque un paletto chiaro. Tasse, vita, battaglia contro la sinistra. Freno all'Udc: ci sostenga ma non li inseguiremo. Queste sembrano le colonne portanti. Per il momento non si scende più nel dettaglio. La tregua elettorale prevede che si parli sì ma le decisioni si prenderanno dopo. Il clima è davvero cambiato. Un sindaco del Sud, Peppe Scopelliti, primo cittadino di Reggio Calabria e candidato del Pdl alla Regione, si mette in un angolo e chiede a Tremonti di sbloccargli un po' di fondi che il Tesoro deve al Comune e Giulio risponde pacato che se ne occuperà appena torna a Roma. Quanto è diverso, quanto è cambiato il clima. Anzi, il ministro dell'Economia chiede di non sorprendersi: «Siamo tutti d'accordo tra noi? E perché si stupisce? Di che si stupisce?», risponde sorridendo. Tanto potè un pranzo tra Berlusconi e Fini. Tanto potè un tavolo all'Hotel de Russie. Il finiano Bocchino appoggia un piede sulla scaletta e invita a riflettere: «No, non è un pranzo. O meglio, al pranzo ci siamo arrivati dopo un mese di lavoro intenso. Di riunioni e mediazioni. Alla fine siamo in uno dei momenti di maggior concordia tra Berlusconi e Fini». Il Pdl riscopre l'unità. Quanto durerà ancora?