Silvio dimostri di essere il "collante" del Paese
Chi consiglia al Cavaliere (come ha fatto ieri Vittorio Feltri nel suo editoriale) di tenere, in vista delle regionali, un atteggiamento di assoluta intransigenza sulle alleanze locali rischia di non valutare bene le conseguenze della scelta. Sin dal '94 infatti Berlusconi si è distinto per una sagace capacità di manovra politica, riuscendo nell'anno della discesa in campo a mettere in pista due alleanze: una al nord con la Lega e una al sud con l'Msi. Oggi il premier è di fronte all'ultimo passaggio delicato della legislatura, cioè le elezioni in quelle 13 regioni su 20 dove si vota a fine marzo. Qual è il vero obiettivo della sfida, vista con gli occhi di Berlusconi? L'obiettivo è uno solo, cioè massimizzare il numero delle «bandierine» strappate alla sinistra, poiché su quel numero si giudicherà il successo e da quel numero verrà tratta la forza per gli anni a venire. Pochi sanno che dopo queste regionali si apre una prateria politica: tre anni senza votare fino alle politiche del 2013. Sono gli anni giusti per le grandi riforme, che non sono affatto quelle costituzionali, ma semmai quelle del fisco, della giustizia e delle pensioni. Tutte riforme che hanno bisogno di tanta benzina nel motore: cioè di un risultato elettorale che renda Berlusconi e la sua maggioranza forti di un rinnovato consenso popolare, lasciando il Pd a leccarsi le ferite per gli anni a venire. Poiché si vota in 13 Regioni, è fuor di dubbio che il Pdl deve vincerne almeno 7, in modo da superare l'avversario (anche se attualmente ne governa solo 2, quindi anche un risultato più basso sarebbe un progresso). È certo il Cavaliere di poter raggiungere questo risultato con il solo Pdl (più la Lega al Nord)? Quante Regioni vince solo contro tutti tra Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Basilicata e Marche? A nostro avviso serve una scelta coerente con l'esito delle politiche del 2008 (la maggioranza di governo non si tocca e è formata da Pdl e Lega), ma non per questo occorre castrare ogni patto locale (con l'Udc dove possibile, ad esempio) in nome di una nettezza che può diventare eccessiva. Peraltro la questione non è solo numerica. C'è anche una ragione politica di non poco conto. Berlusconi infatti è autentico leader di coesione nazionale, è l'uomo che ha interrotto e domato le istanze radicali di Bossi e del suo partito. Ecco quindi un motivo in più per vincere tanto al Nord quanto al Sud: come nella boxe, vince chi tiene il centro del ring. Da questo punto di vista pochi hanno sinora compreso il ruolo realmente giocato dal Cavaliere negli anni '90, quando sul piatto c'era anche il tema dell'unità nazionale. La posta in gioco a marzo è troppo alta per essere giocata sull'onda dell'emotività. La tregua dopo l'attentato di Milano può finire da un momento all'altro, poiché Berlusconi resta il nemico mortale di un vasto schieramento di potere economico, giudiziario e mediatico. Inoltre c'è da affrontare la delicatissima questione di trovare una via d'uscita ai processi che lo riguardano, per non parlare di proposte (di assoluta saggezza) come quella di ripristinare l'immunità parlamentare. Sono fronti aperti, sui quali il premier dovrà presentarsi lasciando gli avversari in posizione difensiva, pena l'impossibilità di giungere ad accordi seri e virtuosi. Pd e Udc (sull'Italia dei Valori non serve fare un conto e tutto sommato è meglio così) attendono l'esito delle regionali per decidere quale atteggiamento tenere. In particolare questo problema riguarda Bersani, che rischia in questa tornata di uscire con le ossa rotte. Un Berlusconi forte di un buon risultato è un avversario con cui bisgna fare i conti, quindi un interlocutore cui fare significative aperture di credito sul fronte delle riforme, anche perché questo chiede il presidente della Repubblica. Un Berlusconi dal risultato così così può invece far venire la tentazione a molti di riprendere la tattica del logorio ai fianchi, magari prendendo come scusa la situazione economica e sociale, poiché è difficile immaginare che l'uscita dal biennio di durissima crisi sarà già nell'anno in corso, che anzi si annuncia doloroso sul versante dell'occupazione. Per la verità il tema non riguarda solo i partiti. Anche i protagonisti della vita nazionale di altra natura (Confindustria, sindacati, vertici delle amministrazioni pubbliche) attendono di capire quanta «birra» ha il governo. E lo stesso accade all'estero, dove Berlusconi ha dimostrato negli ultimi mesi un attivismo in nuove direzioni, scegliendo interlocutori anche fuori dall'asse Roma-Washington che è quello per l'Italia più tradizionale. In questi anni il fortissimo consenso popolare lo ha tenuto in sella, ma non sono consentiti passi falsi. Anche perché l'occasione dei prossimi tre anni non può andare sprecata, né può passare il messaggio che per il premier non sono possibili alleanze (nemmeno locali) diverse da quella con la Lega. In politica avere una strada obbligata equivale ad averne nessuna.