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"È ora di riabilitare la figura di Craxi"

Lacrime e Garofani sulla tomba di Bettino Craxi

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HAMMAMET Sulla tomba che sorge all'ombra dei tamarindi spiccano il «cuscino» di garofani, metà bianchi e metà rossi, inviati dal presidente tunisino El Abidine Bel Alì e il tricolore deposto dalla famiglia. I tre ministri italiani sostano un minuto, in silenzio, davanti alla lapide che recita la frase citata più volte nei dieci anniversari della morte di Bettino Craxi: «La mia libertà equivale alla mia vita». Sono lì a titolo personale e non è il caso di rilasciare dichiarazioni alla stampa. Il «popolo socialista», peones venuti da tutta Italia per commemorarlo, aspetta il suo turno, scalpitando. Uno di loro urla: «Forza Bettino!». Stefania Craxi lo fulmina con un'occhiata. Ma poi scatta l'applauso e anche lei si scioglie nel rinnovato dolore, nell'orgoglio e nelle lacrime. In disparte stanno i fedelissimi del «capo», Pillitteri, De Michelis e Formica, quello che coniò la definizione «una corte di nani e ballerine». Poi Frattini, Brunetta e Sacconi, che sono affiancati da altrettanti «colleghi» del governo di Tunisi, abbandonano il campo e il piccolo cimitero per stranieri accanto al mare di Hammamet e a pochi metri da quello, più ampio, dove riposano i defunti del posto viene letteralmente invaso dalla folla. Le celebrazioni per il decimo anniversario di questo uomo controverso, il primo socialista a sedere sulla poltrona di Palazzo Chigi, assurto a simbolo del latrocinio partitico per alcuni, illustre statista per altri, alleato dei radicali nelle batttaglie per i diritti civili e segretario-premier decisionista, fautore del nuovo concordato e autore del taglio di quattro punti della scala mobile, presidenzialista e riformista, atlantista e insieme terzomondista, amico di Allende e di Arafat ma anche sostenitore del dittatore somalo Siad Barre, oggi sembrano avere un sapore diverso. E non solo perché la sua tomba, orientata in direzione dell'Italia, è stata meta del pellegrinaggio di tre rappresentanti dell'esecutivo. Ma perché la speranza che il clima stia cambiando e che la figura di Craxi possa essere rivisitata in modo meno ideologico appare ora più concreta, realizzabile. Lo fanno capire, senza tanti peli sulla lingua anche le parole pronunciate dopo la cerimonia dai politici intervenuti. «È stato un grande uomo di Stato - spiega il ministro degli Esteri Franco Frattini - Riflettiamo sulla politica che ha costruito. Craxi, che è ancora nelle menti e nei cuori di molti italiani, ha immaginato le riforme venticinque anni prima e ha rappresentato un faro per chi lottò per la libertà nell'Est Europa». Gli fa eco il responsabile della Funzione Pubblica: «È necessaria una riflessione pacata e a freddo sul ruolo e la figura di un uomo che ha fatto tanto per il Paese, probabilmente riflettendone anche i difetti - aggiunge Renato Brunetta - Sono un socialista che non aveva ruoli nel partito in quel periodo, ma sento ugualmente la responsabilità di un chiarimento». Maurizio Sacconi è ancora più esplicito. Parla di «un clima ormai mutato» e sottolinea di credere che «si siano create le condizioni per una rilettura intellettualmente onesta della fine della prima Repubblica e della vicenda umana e politica di Craxi«. Un'occasione, secondo il ministro del Welfare, «per l'Italia intera per uscire dal male oscuro che da allora avvince il nostro percorso democratico». Intanto i «nostalgici» di Bettino prendono possesso del minuscolo camposanto che ospita italiani e francesi, i flash scattano per una foto ricordo, le lapidi vengono inevitabilmente calpestate. Infine, lentamente, i pellegrini del garofano se ne vanno, la ressa finisce. Stefania Craxi, che poco prima della celebrazione aveva abbracciato affettuosamente il «fratello-coltello» Bobo, torna per un ultimo saluto. Gli oltranzisti dell'omaggio al leader l'acclamano. Uno di loro la fissa negli occhi commosso: «Stefania non ti fermare - le dice - continua la battaglia di tuo padre!».

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