"Quando i divi chiedevano un passaggio in macchina"
Il trentasettesimo scatto. Quello era il vero nemico di ogni paparazzo: sei lì, nel cuore dell'evento, hai sparato tutto il rullino e proprio in quell'istante, inevitabilmente, la foto gloriosa evapora nell'aria, non può fissarsi sulla pellicola, diventa subito ricordo, anzi rimpianto. Anche Pizzi ne ha un paio che sono rimaste stampate soltanto nella memoria: «Inizio anni Settanta, compleanno di Ursula Andress. Arriva Connery e l'abbraccia. Io piazzo l'istantanea, tranquillo e sicuro. Un attimo e Sean le piazza una manata sul culo. Niente, la Nikon sparava a vuoto, rullo finito. Un'altra volta, a un'asta a via del Babuino, ecco Guttuso già malato che saluta la Marzotto. Scatto. Subito dopo i due si baciano sulla bocca. La 37ma foto, quella che non si poteva mai fare». GUARDA LE FOTOGALLERY Facile oggi con il digitale: ma nella Roma post-Dolce Vita bisognava dosarsi, o almeno non farsi trovare impreparati dopo aver conquistato il centro della scena. Eppure, anche con il colpaccio già assicurato nella reflex, si poteva invocare un patto fra gentiluomini, trattare una resa onorevole. E non sempre ad alzare le braccia era il vip. «Ero fuori dall'Hotel Hassler, aspettavo Costantino di Grecia», racconta Umbertone. «D'improvviso appare Angelo Moratti, accompagnato da una signora che frequentava qui a Roma. Io fotografo a raffica, lui si ficca una mano in tasca e tira fuori un rotolo enorme di banconote, come neanche un petroliere arabo. "Le compro il rullino, qualsiasi cifra". Invece io lo tiro fuori dalla macchina fotografica: "Con i soldi no, Moratti. Se me lo chiede per favore". E glielo regalo. I miei genitori mi hanno insegnato il rispetto per la persona. Mai ricattare, mai profittare delle vicende altrui». Però documentare è un dovere. «Io la foto di Diana morente sotto al ponte l'avrei scattata. È una notizia, è storia. Non spetta a me censurare preventivamente. Però, ripeto, non bisogna infierire. Una volta immortalai una signora famosa che ballava senza mutande. Diedi la mia parola che non avrei venduto quell'immagine. E così fu». Anche per questo, forse, Pizzi ha frequentato poco i pronti soccorso, a differenza dei suoi colleghi. «Quasi mai fatto a botte: e poi sò robusto, quelli si spaventano. Mick Jagger mi saltò addosso al Parco dei Principi, una sera. Un'altra litigai con Depardieu, e con Polanski ci strattonammo a Via della Croce: l'avevo beccato con una delle sue adolescenti. Macchinari distrutti? In tanti anni ci ho rimesso un flash: me lo danneggiò Cattaneo ai tempi della Rai. Poi voleva ripagarmelo». Ma i bodyguard? «Oggi tante figure di mezza tacca se ne circondano solo per darsi un tono. Nelle stagioni ruggenti vedevi una dea come Grace Kelly girare tranquillamente a piedi da sola, al massimo con l'autista. Ma un giorno mi sentii intimidito da tre energumeni che proteggevano a distanza Michele Sindona. Avevo inquadrato il finanziere con il teleobiettivo mentre entrava nella sua banca privata a Via Veneto, di fronte al Majestic. Capii che era meglio cambiare aria. Un altro che non gradiva era, ovviamente, Craxi. Si rintanava all'Antica Pesa con la sua Anja Pieroni, e le guardie del corpo venivano da noi paparazzi appostati fuori del ristorante e ci sussurravano: "Se non ve ne andate subito vi rompiamo il culo"». I potenti. «Uomini di chiesa e magistrati erano tabù, un tempo. Poteva capitare, però, di immortalare il vero re d'Italia, Gianni Agnelli. Era l'inizio degli anni Ottanta. Lo vidi uscire dal Jackie O' insieme a una stupenda diciottenne americana, Ramona Ridge: cinque scatti preziosi. Al mattino dopo, praticamente all'alba mi telefonò Montezemolo, voleva comprarli. Io risposi che li avrei venduti solo ai giornali. Lui disse "va bene" e li fece acquistare dall'"Eco dell'industria", di proprietà Fiat. Erano foto che valevano oro, anche politicamente: a Torino volevano mandare in cassa integrazione decine di migliaia di operai. Non me la sentivo di lucrarci su, e non guadagnai una cifra enorme: mi ci comprai giusto la macchina». GUARDA LA FOTOGALLERY Eppure l'Avvocato era una preda ghiottissima: «Il mercato delle immagini voleva solo lui, la famiglia. Mi capitò di fotografare al ristorante Susanna Agnelli con il suo vero amore, il Governatore di Bankitalia Guido Carli. Niente. Non fregava niente a nessun editore. Oppure si inchinavano tutti al re, chissà. Come quando facevano sparire le foto del suo povero figlio Edoardo, che qualcun altro gli scattava quando andava a disintossicarsi ad Amelia». Per Pizzi, però, la frequentazione con certi personaggi diventava una complicità stradaiola, trasversale, dove si aveva la consapevolezza di essere ai due lati di una stessa storia, divisi solo da una lastra di pellicola. «Mastroianni, eh. Era sempre polemico. Al mattino l'aspettavo fuori da casa sua, a Via degli Scipioni. Marcello invariabilmente mi apostrofava così: "ma perché nun vai a fà il metalmeccanico?". E io, a quel gigante del cinema: "ma vacce te". Poi però mi chiedeva uno strappo fino al Lungotevere, dal suo avvocato. Quando finì con la Deneuve lo trovavo che usciva alticcio da qualche locale». E ancora oggi prova pudore a parlarne, a sporcarne più di tanto il ricordo. Di altri divi che si tuffavano nel bicchiere, invece, Umberto si diverte a raccontare. «Richard Burton. Una notte sbottò anche lui: "invece di spararmi addosso quel dannato flash accompagnami in albergo". Lo feci salire sulla Seicento. Ero una specie di tassinaro dei grandi attori. Lo stanavo sempre ubriaco, insieme alla Taylor. Non ho mai visto un amore più complice di quello: una passione che nuotava nell'alcool. Eppure lui era corteggiato anche dalla Loren, che lo ospitava in una dependance a Marino. Tra un divorzio e una riconciliazione, Burton andava dalla sua Liz, che alloggiava in una suite al Grand Hotel. Per immortalarli a cena mi mettevo un impermeabile bianco, come il tenente Sheridan, e prenotavo il tavolo accanto. C'è una foto, che poi fu pubblicata in prima pagina dal "Daily Mail", in cui lei reagisce e si vede che mi sta mandando a quel paese. Un'altra volta corsi a Capri, avvisato da un mio socio: erano ospiti nella villa di Valentino. Mi arrampicai su un albero e zac, eccolì lì a bordo piscina». Con la Taylor si poteva fiutare lo scoop: «Avevo ricevuto la "dritta" che era all'Hostaria dell'Orso con Onassis, senza Burton né Jackie. Loro non volevano trapelasse la cosa. Fuori dal ristorante ecco quei cagnacci dei miei colleghi tutti intruppati. Io invece amavo muovermi da lupo solitario. Con il flash nascosto sotto il mio solito impermeabile mi infilai nelle cucine insieme a Kroshenko, un paparazzo dei più tosti: del resto, era un ex soldato dell'Armata Rossa. Scendemmo una scala buia e li trovammo lì appartati. Aristotele mi tirò un bicchiere di champagne, Liz la ritraemmo che usciva ubriaca fradicia e si faceva sorreggere mentre sbandava sul marciapiede». Quante leggende: «Mica come il demi-monde di oggi. Soraya: di una bellezza incredibile, e sempre triste. Sulla sua testa aleggiava la nube nera della malasorte, e la principessa precipitò verso l'autodistruzione, soprattutto dopo la morte del regista Franco Indovina in un incidente aereo a Punta Raisi. Negli ultimi tempi era ingrassata, con le tette rifatte, esagerate come quelle di un viado». Audrey Hepburn: «Si sentiva su un piedistallo. Mi rivolse la parola solo a Venezia, per chiedermi di ritrarla accanto a non so più quale reale del Belgio. Abitava ai Parioli, con il marito Andrea Dotti. La fotografai a Villa Balestra con il figlio Luca. Sembrava una qualsiasi madre di famiglia». Maria Schneider: «Era appena uscito "Ultimo tango a Parigi", l'Italia impazziva per il suo mito tragressivo. Lesbica dichiarata, si fece arrestare a Fiumicino assieme alla sua compagna. Avevano dato in escandescenze. Riscontrandone una presunta instabilità mentale, i poliziotti le avevano spedite al Santa Maria della Pietà. Arrivò Carlo Ponti e in un pomeriggio le tirò fuori dal manicomio». Barnard: «Venne a Roma in luna di miele con la giovane moglie Barbara Zoellner, e realizzai il servizio. Il loro divorzio arrivò presto. Anni dopo, lo beccai in un night con Moana Pozzi, che a quel tempo era solo un'escort di lusso, diversissima fisicamente dalla futura regina del porno». Eduardo: «Al Teatro Tenda, dopo uno spettacolo d'onore, lo vidi in camerino insieme a Gassman e Mastroianni. Un carattere di ghiaccio. Andai a Napoli per il suo ultimo matrimonio, quello con Isabella Quarantotti. Il ristorante era off-limits per i fotografi, così mentre gli altri erano andati a dormire lo aspettai in albergo. Non volevo arrendermi. Lui fu dapprima brusco: "che ci fai ancora qui?". E io: "maestro, se non mi fa fare le foto la seguo anche in camera da letto". De Filippo si sciolse e abbracciò la consorte: "lasciamo lavorare questo bravo guaglione"». Una vita per catturare luci e ombre, in ogni senso. «La foto ha il pregio di non poter essere smentita. Non è colpa mia se il politico si mette le dita nel naso. E se si comporta male, fosse pure il mio idolo, è lui che tradisce me, non il contrario». Come dimostrano le gallerie del grottesco di "Cafonal". «Tutto è cambiato con internet. Mezze figure che si compiacciono di farsi inondare dal flash, dopo avermi giurato amicizia. Io però non ci casco: se fiuto la strumentalizzazione mi giro dall'altra parte. Roma è sempre la stessa, quello che è cambiato è lo spessore dei personaggi. Ieri si andava a caccia di Grace, oggi dobbiamo accontentarci di Flavia Vento».