L'asse Pdl-Pd stritola Di Pietro

Pier Luigi Bersani ha vinto il primo round. Il segretario del Pd che preferisce farsi vedere poco e parlare ancora meno è riuscito nell'impresa di incassare ciò che aveva chiesto in tema di giustizia. In un solo giorno è naufragato il decreto legge che doveva bloccare per tre mesi i processi nei quali è stata cambiata imputazione durante il dibattimento, mentre al Senato il ddl sul processo breve ha subito un significativo rallentamento. Difficile dire se sia tutto merito del leader dei Democratici e della sua ostinata voglia di dialogare. In molti sono convinti che Silvio Berlusconi abbia volontariamente alzato la posta in gioco per incassare ciò che gli interessa veramente (leggitimo impedimento e immunità così come prevista dalla proposta Chiaromonte-Compagna). Ma il risultato c'è. È indubbio che dalla maggioranza è arrivata una mano tesa al segretario del Pd considerato unico interlocutore possibile per avviare il confronto sulle riforme. L'asse regge e ora Bersani non ha più alibi: deve andare fino in fondo. Il primo segnale di distensione arriva in mattinata quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito comunica che il Consiglio dei ministri non discuterà decreti sospendi-processi. La sentenza 333 della Consulta, spiegherà più tardi il premier in persona, è sufficiente e può essere «applicata direttamente senza bisogno di interpretazioni». Bersani ringrazia, ma non abbassa la guardia: «Mi pare che le leggi pro-premier abbiano un andamento ondivago e saltellante ma che non si decidano a sgomberare il campo». Nel frattempo, però, a Palazzo Madama l'opposizione ottiene un'altra vittoria. Anche grazie alla mediazione del presidente Renato Schifani il testo del maxiemendamento del relatore che modifica il ddl sul processo breve viene rinviato in Commissione. Festeggia il capogruppo Pd Anna Finocchiaro: «La sospensione e il ritorno in Commissione del processo breve che, a questo punto, verrà votato dall'Aula solo la prossima settimana, è molto importante». E anche Bersani si dice soddisfatto: «Ritengo un fatto di un certo significato il fatto che il testo sia tornato in Commissione dopo che l'opposizione, in modo netto e compatto, ha fatto sentire la sua voce». «Dico e sono convinto - prosegue - che la scelta sul processo breve sia così abnorme che non riesco a credere che almeno una parte della maggioranza possa non riflettere». Certo il clima sereno dura appena qualche ora. A metà pomeriggio il Pd accusa la maggioranza di aver messo in atto una «burla»: il testo è stato riportato in Commissione ma è stato impedito il voto sugli emendamenti. Per Schifani si è svolto tutto regolarmente. Vengono votate le pregiudiziali e le sospensive. Tutte bocciate, si va avanti. Anche se l'impressione è che, dopo aver rallentato la sua corsa, il ddl possa arenarsi a Montecitorio. Tatticismi che, però, premiano la linea di Bersani. E non è un caso che, per un giorno, gli «irriducibili» del Pd siano rimasti con le bocche cucite. Se il tema giustizia esce dal dibattito non avranno più armi per attaccare il Cavaliere. E forse il sistema politico italiano ne guadagnerà. In questo quadro, poi, non va sottovalutato il ruolo del Quirinale che ha sempre tifato per una asse Pdl-Pd sulle riforme. Il ritiro del decreto legge blocca-processi e la concessione di un ritorno in commissione del testo sul processo breve, sono segnali di buona volontà che Giorgio Napolitano ha sicuramente apprezzato. Ora tocca a Bersani dimostrare che la maggioranza non ha sbagliato ad investire su di lui.