Bersani perde i pezzi...

Per ora sono sedici. Cinque senatori e undici deputati. Il Partito Democratico continua a perdere pezzi. Gli ultimi due ieri: Enzo Carra e Renzo Lusetti sono salpati alla volta dell'Udc. Un fenomeno particolarmente di moda da quando Pier Luigi Bersani ha preso in mano le redini del partito. Chi non ha raggiunto i centristi di Pier Ferdinando Casini ha seguito Francesco Rutelli nell'Alleanza per l'Italia, ma il risultato non cambia. Così come la motivazione. A spingere deputati e senatori democratici verso altri lidi è il progressivo spostamento a sinistra del Pd. Inaccettabile per chi viene dalla tradizione democratico-cristiana e deve fare i conti con la dottrina sociale della Chiesa. E poi se l'obiettivo del segretario (e di Massimo D'Alema) è quello di un Pd più simile ai vecchi Ds capace di allearsi stabilmente con il centro, tanto vale stare in quel centro. Ma la diaspora comincia a preoccupare il vertice democratico. Anche perché rappresenta un'arma in più nelle mani della minoranza interna che non si lascia sfuggire l'occasione di sparare contro Bersani. Per ora Dario Franceschini e Giuseppe Fioroni preferiscono non parlare. Anche se quest'ultimo, a chi lo interroga, continua a far notare che ad andarsene sono soprattutto ex della Margherita legati a Rutelli e che il nocciolo duro degli ex Popolari è rimasto sostanzialmente intatto. Ma al posto dei due «capibastone» parlano le truppe. Per Paolo Gentiloni, ad esempio, «è vero che Carra e Lusetti fanno un errore a considerare chiusi gli spazi di un loro impegno nel Pd, ma noi non possiamo cavarcela dicendo che sbagliano. Il Pd deve dire forte e chiaro che i moderati sono protagonisti dentro il partito e non alleati potenziali fuori». E anche due veltroniani doc come Giorgio Tonini e Walter Verini non sono da meno. «Questo stillicidio di abbandoni dovrebbe cominciare a preoccupare il segretario» avverte il primo. Mentre il secondo rincara la dose: «Questa continua fuoriuscita non può e non deve lasciarci indifferenti. Il Pd era nato come grande casa di tutte le culture riformiste. Se alcune di queste, o parte di queste, pensa di andarsene - sbagliando! - vuol dire che non sentono più il Pd come casa propria». Al coro si aggiunge anche l'ex Ppi Gero Grassi: «C'è un disagio nel partito dopo il congresso e la segreteria non fa nulla. Gradirei che Bersani dicesse una parola perché questa è un'emorragia. Non sono solo Carra e Lusetti a lasciarci, sono gli elettori che ci abbandonano». In effetti il deputato pugliese non sbaglia. Perché se a Roma se ne vanno sedici parlamentari, sul territorio se ne vanno pacchetti di voti legati a consiglieri regionali, provinciali e comunali. Prima di Capodanno, ad esempio, in Campania ha lasciato i Democratici Pasquale Sommese che, nel 2005, fu il consigliere regionale del centrosinistra più votato in Italia (35.500 preferenze). Insomma qui non è solo una questione di contenuti. È soprattutto una questione di consensi che, visto l'avvicinarsi delle Regionali, sarebbe meglio non perdere. Per ora Bersani si limita ad un laconico «mi spiace molto. Credo che le motivazioni di questa scelta non abbiano in realtà un fondamento. Ma sono loro scelte e io le rispetto». Intanto Franco Marini e Beppe Fioroni hanno organizzato per il 5 e 6 febbraio alla domus Mariae di Roma un convegno dedicato alle riforme istituzionali e sociali. L'occasione servirà per cercare di placare i malumori e serrare un po' le file degli ex Ppi. Prima che sia troppo tardi.