E Di Pietro mo' che fa?
E adesso? Adesso che fa? Che dice Di Pietro? Tonino è finito irrimediabilmente fuori gioco nel giro di pochi giorni. Prima aveva il vento in poppa come si suol dire. Tutto era a suo favore. Berlusconi, sguarnito dalla bocciatura del lodo Alfano, era alla ricerca di un nuovo scudo. I processi che incombevano, le inchieste, l'antiberlusconismo montante. C'è stato anche un momento in cui Di Pietro è apparso, soprattutto a un certo popolo di sinistra, l'unica alternativa l'unica opposizione possibile. Tanto che lo stesso Tonino ha provato a “sconfinare”. Il Pd sembrava imbambolato, intrappolato, imbolsito (e forse lo è ancor oggi). E il leader dell'Italia dei Valori è riuscito a penetrare persino nell'armeria più delicata del partito di Bersani, e ha cominciato a saccheggiarla, appropriandosi del tema del lavoro. O meglio, del tema della protesta sociale. S'era piazzato alla testa delle manifestazioni di piazza, con l'appoggio di fette di sindacato. In particolare della Fiom. S'è messo a guidare i cortei Eutelia, e poi dei lavoratori della funzione pubblica. Poi fu la stuatuina. Che ha cambiato tutto. E ha imposto persino a Berlusconi una linea meno arrembante. Niente decreto blocca-processi. Il processo breve va avanti al Senato, ma ormai tutti sanno che dopo il primo sì finirà in un bel cassetto e se ne riparlerà dopo le Regionali di marzo. Insomma, non si parlerà più di giustizia. Che poi è l'argomento principe dell'antiberlusconismo. Che poi è il concime che fa crescere i voti dell'Idv. Niente giustizia, come voleva Bersani. D'altro canto, al vertice del Pd non riuscivano a capacitarsi del fatto che nel pieno della più grave crisi economica degli ultimi ottant'anni, nell'emergenza sociale e con il dramma della perdita di posti di lavoro (ovvero tutte le questioni che sono nel Dna della sinistra) si dovesse passare il tempo a parlare di un certo avvocato Mills, di un criminale come Spatuzza, delle sue inverosimili verità e di tutte quelle elucubrazioni mentali che fanno vendere i libri a Marco Travaglio. Di Pietro, che non è un fesso, ha capito subito che lo spinnaker si stava afflosciando e quello che sembrava un lato di poppa stava diventando una bolina. E ha provato a riconvertirsi. S'è buttato sulle tasse. Ha provato a rientrare in gioco aprendo, con una sortita improvvisa, al taglio delle tasse vagamente annunciato da Berlusconi. Ma la sua, diciamola tutta, più che una sortita improvvisa rischia di diventare una iniziativa improvvida. Perché la più elementare legge della pubblicità spiega che non si può essere testimonial per tutti i prodotti. E così, quando Di Pietro, l'altra sera a Ballarò, s'è messo a parlare di fisco, ai piani alti del Pd si sono sbellicati dalle risate. E forse qualche ragione ce l'hanno. Perché Di Pietro che parla di questioni economiche non è credibile. Se non si mette a urlare, se non parla come il fruttarolo al mercato, se non aggredisce chi lo contraddice, se ogni tre parole due non sono almeno «Berlusconi» e «ladro» o «mariuolo» o «farabutto» o «mafioso» o «dittarore» o «regime» il bel Tonino non piace nemmeno ai suoi. Dunque, di che cosa parlerà fino alla fine della campagna elettorale? Allora, vediamo. Gli restano Craxi e il decennale: ma non è che la questione possa poi provocare tutto 'sto can can, e sabato, dopo le celebrazioni della morte del leader socialista, non se ne parlerà più. Gli resta il legittimo impedimento: ma vallo a spiegare agli elettori. Se la ride Bersani. Mister diesel. Lento lento, piano piano come un gozzo della costiera sorrentina ha raccolto quel poco che gli veniva teso dal Pdl, ha chiesto anche meno e quindi ha ottenuto, senza gridare, senza alzare la voce. E ora può cominciare ad incassare. Forse incassare è eccessivo. Ma intanto ha spento l'avversario più temibile. Che è sempre interno al centrosinistra, più che esterno. Tanto che il Pdl ha dato pure una mano. Qualche aiutino, e l'asse regge. Va avanti, silenziosamente. Tanto silenziosamente che Di Pietro non può nemmeno gridare all'inciucio.