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La svolta è anche nelle parole

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Qualcosa di nuovo si muove nella politica italiana. Nel diluvio di annunci che la caratterizza, ce n'è uno che segna una inversione di tendenza in parte storica. Ed è quello del ministro della Giustizia, il quale, in un'aula parlamentare, ha dichiarato l'intenzione di voler raddoppiare i posti delle carceri italiane. La novità è formale e sostanziale. Perché in sessant'anni di storia repubblicana in Italia il problema del sovraffollamento delle carceri s'è sempre risolto più o meno allo stesso modo: indulti e indultino, amnistie, amnistie mascherate, scarcerazioni «aumma aumma» e tutto ciò che la fantasia democristiana e paleocomunista è stata in grado di partorire. Se ne possono contare una trentina. Perché? Perché questi provvedimenti si facevano senza tanta pubblicità, in mezzo alle feste o nel bel mezzo di un dibattito su questioni finanziarie. Gli italiani non se ne accorgevano (o se ne dimenticavano perché erano leggi che si facevano ad inizio legislatura), quelli che riconquistavano la libertà sì e se ne ricordavano al momento del voto. Ora si imbocca la strada opposta. Niente liberazioni. Si fanno più posti per quelli che devono andare dentro. E questa è già una decisa rottura di linguaggio, che amplia il concetto di politicamente corretto. Se si alzeranno pure quelle mura sarà una rivoluzione sostanziale. Di sbarre e cemento.  

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