Costruire un'immigrazione "rotazionale"
Nella Caritas in veritate Benedetto XVI, dopo aver sottolineato che l'immigrazione è "complessa", comporta "sfide drammatiche" e non ammette soluzioni sbrigative, indica tre cardini per affrontare la materia: 1) l'affermazione dei diritti degli immigrati, da non considerare "merce", 2) la salvaguardia dei diritti delle società che accolgono gli immigrati: alla sicurezza, ma pure alla difesa dell'identità e della integrità nazionale, 3) i diritti delle società di partenza degli emigrati, per non sottrarre importanti risorse umane allo sviluppo dei Paesi di origine. Questi principi sono aggrediti, pur se in modo differente, sia dall'atteggiamento xenofobo, inteso in senso lato come parificazione dell'immigrato a un oggetto, sia dall'ideologia dell'immigrazionismo, secondo cui l'immigrazione è un fenomeno sempre culturalmente buono ed economicamente vantaggioso. Oggi a Roma la Fondazione Nuova Italia organizza una riflessione pubblica, attraverso la voce di qualificati addetti ai lavori, che punta alla costruzione di un «modello italiano» di immigrazione. Esso è chiamato: a) a tenere conto del trend crescente di extracomunitari presenti in Italia; ai ritmi seguiti a partire dal 1990 nel 2050 la presenza di stranieri da noi giungerebbe a 20 milioni di persone; b) a evitare improprie similitudini: l'immigrazione nell'Italia del 2010 è profondamente diversa da quella di tanti italiani in altri Paesi europei o negli Usa; c) a comprendere quali spazi di lavoro oggi gli immigrati effettivamente coprono e quali effetti la loro presenza provochi sul sistema del welfare; d) a affrontare il tema dell'integrazione in un'ottica, anche in senso lato, culturale, che non trascuri l'incidenza dell'appartenenza religiosa; e) a non ritenere la cittadinanza un punto di partenza dell'inserimento nel contesto sociale, legato al mero decorso del tempo, magari da accorciare, e a considerarlo invece un punto di arrivo. Chi oggi viene in Europa da aree meno sviluppate pensa di stabilirvisi mediamente solo in un terzo dei casi: l'altro 70% si pone l'obiettivo di mettere da parte dei risparmi, di acquisire mestieri e/o professionalità, di far frequentare ai figli le nostre scuole, quindi di rientrare dopo un numero apprezzabile di anni nel Paese d'origine per far fruttare i risparmi e le conoscenze apprese. A che cosa serve a costoro la cittadinanza? Chi di loro realmente la chiede o la desidera? La proposta è di reinserire i lavoratori immigrati nei paesi di origine, per garantire nei fatti l'equilibrio tra la soddisfazione in modo flessibile del fabbisogno di mano d'opera dell'economia italiana e la necessità di nuove opportunità di lavoro dei Paesi di provenienza. Va costruita quella che potrebbe definirsi una «immigrazione rotazionale», basandola su un doppio binario: percorsi di inserimento non virtuale di chi viene in Italia e in Europa e percorsi di rientro incentivato nei luoghi di provenienza, tesi a collocare nel modo più adeguato e soddisfacente chi ha maturato competenze e capacità di contribuire allo sviluppo del proprio Paese. Ciò richiede in modo decisivo il rafforzamento della cooperazione, indirizzando le scelte sia delle istituzioni comunitarie, sia degli enti territoriali italiani, sia - per quanto si lascino coinvolgere - delle istituzioni degli Stati di provenienza. Adeguato il quadro normativo all'avvio della legislatura in corso, ridimensionata l'emergenza sbarchi, rimessi in carreggiata i profili di sicurezza del fenomeno, ciò a cui è indispensabile dedicarsi con maggior vigore è un sistema che non faccia rinunciare, in nome del religiosamente/politicamente corretto, alle nostre caratteristiche di comunità e di popolo, e proprio per questo attorno a esse immagini una convivenza più civile e coesa.