Franceschini è il signor no del Pd
Per capire le ragioni per le quali Dario Franceschini non si lascia scappare occasione per smentire il segretario del Pd Pier Luigi Bersani bisogna forse fermarsi un attimo a rileggere ciò che disse a Giovanna Casadio, della "Repubblica", quando pensava di avere in tasca i voti del congresso, e ancor più delle primarie. «Vincerò senza sconfitti», annunciò l’allora reggente Franceschini con l’aria sicura del forte e generosa del pacificatore, anche se qualche giorno prima aveva spiegato con aria sprezzante che voleva essere confermato segretario per impedire che il partito tornasse nelle mani dei "vecchi", cioè Massimo D’Alema e i suoi uomini. I quali tuttavia avevano guidato il Pci, poi Pds, infine Ds: non anche il Pd, nato nell’autunno del 2007 dalla fusione tra i Ds-ex comunisti e l’ex sinistra democristiana confusasi tra i petali della Margherita dell’ex radical-ambientalista Francesco Rutelli. Evidentemente Franceschini sapeva benissimo, sin d’allora, ciò che Rutelli avrebbe detto solo dopo essersene andato: che il Pd, a dispetto dei nuovi colori, simboli e nomi che si era dato, era solo "la quarta matrioska del Pci". In quel senso, sì, la vittoria di D’Alema e dei suoi uomini, a cominciare da Bersani, avrebbe potuto significare il ritorno dei "vecchi". Dopo che questi sono "tornati", e i suoi sogni di gloria sono affogati nei circa venti punti di ritardo accumulati nella corsa alla segreteria, Franceschini ha rovesciato il suo slogan. Anziché vincere senza sconfitti, egli ritiene di avere perso senza vincitori. E si è prefisso di dimostrare ogni giorno al povero Bersani che non ha vinto un bel niente, pur avendo con lui negoziato, tra le proteste del suo ex capocorrente Franco Marini, la delicata postazione di capogruppo alla Camera. E, quel che è ancor più anacronistico, lo scavalca continuamente a sinistra, su posizioni massimaliste e giustizialiste, quelle del peggiore Pci. Bersani adotta la cosiddetta "bozza Violante" per un confronto con la maggioranza di governo sulle riforme istituzionali? Franceschini dice no. Bersani prende le distanze da Antonio Di Pietro, pur tra incertezze e contraddizioni forse causate dalla paura di perdere voti nelle elezioni regionali di marzo? Franceschini dice no. Bersani, pur critico per le leggi ordinarie che possono servire a mettere il presidente del Consiglio al riparo dai processi intentatigli con sfacciato accanimento, mostra di aprire a qualche riedizione costituzionale della vecchia immunità parlamentare troppo frettolosamente abolita, o quasi, nel 1993? Franceschini dice no. Bersani resiste all'idea di lasciare il Pd ostaggio della candidatura dell'ex o post-rifondarolo comunista Nichi Vendola alle elezioni regionali pugliesi? Franceschini dice no. Bersani, confortato peraltro da quella vecchia volpe democristiana di Franco Marini, non si strappa i pochi capelli che ha di fronte alla candidatura della radicale Emma Bonino alle elezioni regionali del Lazio, definendola anzi una "fuoriclasse"? Franceschini, spalleggiato dalla solita Rosy Bindi, incautamente piazzata da Bersani alla presidenza del partito, dice no invocando le primarie.