Nomade 16enne arrestata 22 volte
Anno nuovo, tornano le superpregiudicate, o meglio, le superconoscenze delle forze dell’ordine. Non tanto per la gravità dei reati commessi, quanto per il numero delle volte arrestate e subito tornate in strada a fare quello che purtroppo sanno fare meglio: rubare. Così bene che la Giustizia ha pensato che una zingarella di 16 anni potesse ulteriormente perfezionare in libertà la sua tecnica per 22 volte. È proprio di ieri la notizia dell’arresto di tre giovani nomadi che a Roma hanno rapinato una coppia di anziani australiani in metropolitana facendoli cadere. Anzi una notiziola, visto che scippi e rapine come queste, a Roma, guadagnano, proprio per l'elevata frequenza con cui accadono, sì e no un posto nel colonnino delle brevi. Se non fosse che la più giovane delle tre, di 16 anni, la capobanda, fosse già stata arrestata e giudicata 22 volte. Certo è niente in confronto a quel tale sorpreso con la mani in pasta 99 volte, ma la giovane età della ragazza giustifica il suo acerbo curriculum. Dagli accertamenti di rito fatti dai carabinieri della Compagnia Centro guidata dal maggiore Luigi De Simone sulle impronte digitali delle tre, è saltato fuori che anche le compagne non avevano un passato da sartine e che erano conosciute da carabinieri e poliziotti di tutta Italia con decine di alias diversi. Ora spetterà al giudice del tribunale dei minori di Roma decidere il da farsi. Una decisione che, molto probabilmente, almeno per la minorenne, non sarà differente da quella presa dal magistrato che l'ha giudicata nei precedenti 22 processi: affidamento ai genitori all'interno del campo nomadi di via Pontina o presso una casa di accoglienza dalla quale fuggirà come ha già fatto. Ma la legge è questa e la magistratura, più di tanto, non può fare. Per le due maggiorenni scatteranno invece i chiavistelli di una cella? Pregiudicate sono pregiudicate, ma resta da vedere se hanno figli a carico. E visto che in Italia, oltre alle celle, nelle carceri mancano gli asili nido, le possibilità di scontare qualche mese diminuiscono. La soluzione dei domiciliari purtroppo in certi casi lascia il tempo che trova: all'interno di un campo nomadi, soprattutto se l'area non è regolare e non è monitorata, chiedere il domicilio è cosa scivolosa: un po' come domandare a un'anguilla del Tevere sotto quale ponte si trovi la sua tana. Così come ci vuole davvero un innato ottimismo a credere che poi rispetti i domiciliari invece di andarsene a zonzo. L'anno scorso, erano i primi di marzo, una giovane rom fu condannata a qualche mese di carcere solo dopo essere stata fermata 13 volte per furto, una per rapina, una per ricettazione e infine, e per questo spedita in cella, per un'evasione dal campo nomadi. Ma aveva 5 figli, e se l'era sempre cavata. I domiciliari, in Italia, li rispettano in pochi. E gli italiani, con le loro assurde scuse, sono certo più originali dei nomadi costretti invece ad allontanarsi dal campo per campare. I romani presi in castagna dalle forze dell'ordine fuori dalla propria abitazione non hanno esitato a rispondere: ero solo sceso al bar a vedere la partita! Ma il cane doveva fare i bisogni! Oppure, in estate: a casa sto' senza aria condizionata, volevo prendere una boccata d'aria fresca! La consuetudine di evadere dai domiciliari è documentata dalla vicenda giudiziaria di Mario, il nome è finto ma la storia è vera, rispedito a casa da un giudice per la quarta volta dopo aver compiuto la sua terza evasione in 6 mesi. E qui, forse, non è tanto questione di legge, ma eccessiva bontà della magistratura. I protagonisti di questo tragicomico copione giudiziario non sono però solo giovani nomadi e rapinatori. Ogni giorno le aule di direttissima sono un via vai di vu' cumprà, stranieri rissosi e molesti, spesso e volentieri clandestini, ragazze poco vestite che dichiarano di fare le colf o le parrucchiere anche se la faccia del poliziotto con le braccia conserte accanto all'imputata dice, scettica, tutta un'altra versione. Il capitolo clandestinità, poi, è una storia a parte. Racconta una serie di difficoltà che devono essere prima affrontate dalle forze dell'ordine al momento dell'arresto, poi dai magistrati in Tribunale. Prendiamo un extracomunitario sorpreso a vendere dvd falsi. È al suo primo arresto. Con sé non ha documenti ed è senza fissa dimora. Il giudice dovrà affidarlo al Cie per l'identificazione e l'espulsione. Ma siccome nel Cie non c'è posto e non ci sono soldi per metterlo su un aereo, gli viene intimato con un foglio di via di lasciare l'Italia. Non se ne andrà, mica è fesso. Anzi conosce un connazionale che ne ha collezionati 3 o 4, di fogli di via. Come è capitato a quel senegalese che qualche giorno fa, dopo 8 anni di italiche tribolazioni, è stato fermato all'aeroporto Da Vinci. Aveva appena fatto il biglietto per tornarsene a casa. "Ma 'ndo vai...", cantava Albertone. E l'hanno arrestato per il reato di clandestinità. Così ora il biglietto glielo paghiamo noi. La Giustizia, in Italia, sarà pure malata, ma bisogna riconoscere che è davvero generosa.