La sfida di Napolitano e Fini
Riscoprire il senso del comune interesse nazionale. A Napoli per ricordare la figura di Enrico De Nicola, a cinquant'anni dalla scomparsa, il presidente della Repubblica Napolitano e il numero uno della Camera Gianfranco Fini insistono sul bisogno di coesione, sulla necessità di un clima di unità nazionale «in momenti di serie prove per il paese» e sulla riscoperta di "quei valori e ideali necessari per vincere le sfide di una nazione democratica". E rinnovano, se mai ce ne fosse bisogno, la loro intesa. La liason tra la prima e la terza carica dello Stato va talmente a gonfie vele che nell'esaltare l'attualità della lezione dello statista, da cui bisogna «imparare», sembrano parlare all'unisono. I riferimenti all'attualità sono numerosi e chiarissimi. «L'affermazione della democrazia dell'alternanza in Italia e la fine delle contrapposizioni ideologiche ripropongono l'esigenza di valori unificanti e condivisi, essendo comunemente accettata l'idea che in un sistema bipolare ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide», dice il presidente della Camera. E poco dopo Napolitano usa quasi le stesse parole, parla anche lui di “democrazia dell'alternanza”, per poi aggiungere che «la libera dialettica di posizioni e di ruoli tra maggioranza e opposizione non esclude che si riproponga, in momenti di serie prove per il paese, l'esigenza di non smarrire il senso del comune interesse nazionale». Un appello che ha ripetuto più e più volte in passato e che rinnova oggi con forza. Fini sorride, nonostante un improvviso blackout getti nell'imbarazzo la sala dei Busti di Castelcapuano, antica sede del tribunale partenopeo, e lo costringa a leggere il suo discorso alla luce di una torcia pazientemente retta da un assistente. «Non c'è dubbio - continua - che senza passione è difficile affermare la partecipazione dei cittadini, che si nutre anche delle legittime idealità di parte». Ma l'esperienza di De Nicola «con la sua costante attenzione agli interessi superiori del Paese, può e deve essere indicata come prezioso insegnamento sulla via di un rinnovato senso della coesione nazionale, sulla riaffermata appartenenza di tutti gli italiani alla stessa comunità nazionale». E di nuovo Napolitano conferma le parole del numero uno dei deputati: l'esempio dello statista è da seguire innanzitutto per il suo «tenace attaccamento alla necessità di un clima di unità nazionale». L'Italia è cambiata, certo, lo sa il leader degli ex An e lo sa pure l'inquilino del Quirinale, ma quei valori e quegli ideali «devono poter essere riscoperti», oggi che «s'avverte con forza la domanda di nuove conquiste civili», dice Fini. L'accordo tra Palazzo Madama e Colle diventa un appello a tutte le forze politiche, il clima dell'amore che vince sull'odio sembra tenere ancora. E lascia ben sperare per quelle riforme condivise invocate da più parti, e che Berlusconi spera di concludere al più presto: questo, lo confermano anche le parole di Napoli, è davvero il momento giusto. La prima e la terza carica dello stato non ne parlano direttamente, ma è chiaro che il loro messaggio è rivolto su chi ancora si arrocca su dei no dettati da pregiudizi, senza guardare, appunto, “al comune interesse nazionale”, che è che la lezione dello statista partenopeo ricordato ieri può insegnare. Ma i richiami all'unità non trattengono Napolitano dal richiamare con forza la necessità di evitare ingerenze tra le istituzioni. Confessa di prendere ad esempio il suo predecessore De Nicola nel modo in cui ricopre il suo incarico, nel rigore con cui ha sempre tentato di interpretare il proprio ruolo super partes, anche a costo di scontentare qualcuno. E vengono alla mente i malumori con Palazzo Chigi, vale a dire Berlusconi, quando ricorda che lo statista riuscì a assicurare una transazione - dalla monarchia alla repubblica - “condivisa”, «superando momenti di tensione che con mancarono anche con l'Esecutivo, e per esso col presidente del Consiglio, un forte presidente del Consiglio come Alcide De Gasperi». Poi aggiunge: «Molto io cerco di imparare da quel che fu contestato a De Nicola come incorreggibile formalismo e che in realtà era correttezza e rigore nell'esercizio, da parte di ogni soggetto istituzionale, del proprio ruolo e dei propri poteri, rispettandone sempre i limiti invalicabili. È qualcosa che anche negli anni di De Nicola Capo dello Stato, provocava insofferenza in altri soggetti istituzionali. Ma egli ci ha lasciato anche una lezione di serena fermezza e di ciò gli siamo egualmente grati».