Di Pietro scarica gli ex colleghi dell'Antimafia

  Che l’onorevole Antonio Di Pietro diffidasse dei politici, ivi compreso il Presidente della Repubblica, e non esitasse a dirne tutto il male possibile in ogni occasione, era ormai scontato. Ma che l’ex magistrato Di Pietro non si fidasse più nemmeno dei suoi ex colleghi e arrivasse a sospettare persino dei professionisti dell’antimafia, questo non poteva prevederlo nessuno. Invece è successo anche questo. Di Pietro, appresa la notizia che i giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno alleviato il regime del carcere duro previsto dall’articolo 41 bis inflitto al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, revocandogli l'obbligo dell'isolamento diurno, ha gridato allo scandalo: «È un segnale inquietante che non aiuta certo la credibilità della giustizia - ha dichiarato - e rischia di apparire come una ricompensa al silenzio omertoso del boss». Secondo Di Pietro i giudici di Palermo hanno voluto così "ricompensare" Graviano perché, chiamato a confermare in aula al processo contro il senatore Marcello Dell'Utri le rivelazioni del "pentito" Gaspare Spatuzza circa il patto scellerato stipulato da Silvio Berlusconi e Dell'Utri con Cosa Nostra a proposito delle stragi del '93, si è avvalso della facoltà di non rispondere e, ciò che è peggio, ha lanciato a voce e per iscritto un significativo messaggio: ora non posso parlare, ha detto il boss, perché sono malato a causa del carcere duro che mi avete inflitto, quando starò meglio, (cioè quando mi toglierete o mi allievierete il carcere duro) allora parlerò. E puntualmente, appena cinque giorni dopo le sue dichiarazioni in aula e il suo "messaggio", i giudici di Palermo gli hanno tolto l'obbligo dell'isolamento diurno.   Sarebbe la prima volta. I professionisti dell'antimafia, invece di premiare il mafioso, come fanno da vent'anni e come gli consente la legge sui "pentiti", e spesso al di là di quanto la legge gli consente, perché parli e riveli e confermi, magari inventando, questa volta lo premiano perché stia zitto e magari smentisca. Dopo gli abusi inenarrabili(anche perché narrarli costa inevitabilmente la querela dei magistrati) compiuti in materia dai professionisti dell'antimafia, verrebbe quasi voglia di credere ai sospetti di Di Pietro. Ma è più probabile che sia vero il contrario e che i giudici, magari accogliendo il tempestivo suggerimento dei segugi de "La Repubblica", abbiano voluto rispondere positivamente al messaggio di Giuseppe Graviano e aprire con lui la consueta trattativa: tu parli e confermi, lo Stato ti compenserà. Tuttavia questa volta sarà meno facile del solito. Confermare Spatuzza, se veramente Giuseppe Graviano vorrà farlo, comporta molte conseguenze e contradditorie. Intanto dovrà smentire il suo stesso fratello Filippo, che al contrario ha smentito Spatuzza e con dovizia di argomenti. Poi dovrà spiegare il come, il quando, il dove e il perché. Per Spatuzza è stato facile, gli è bastato dire: del patto con Berlusconi e Dell'Utri mi ha parlato Giuseppe Graviano, quella volta al caffè Doney a via Veneto a Roma. E potrebbe persino essere vero. A Giuseppe Graviano non basterà confermare di averglielo detto, dovrà anche dimostrare che ciò che gli ha detto è vero, che non gli ha raccontato una balla e solo per convincerlo a compiere l'ennesima strage. Come ha fatto, e questo è già provato, e gli ha raccontato una balla, e sempre quella volta al caffè Doney, quando gli ha detto che bisognava fare la strage allo stadio Olimpico e ammazzare un centinaio di carabinieri, perché c'era un accordo, una strategia stragista contro i carabinieri concordata anche con la 'ndrangheta e la camorra, e in Calabria avevano già cominciato ammazzando due carabinieri. Ed era vero che avevano appena ammazzato i due carabinieri in Calabria, ma non c'era nessun accordo e nessuna strategia concordata con la mafia e quello che li aveva ammazzati s'era pentito e aveva confessato che li aveva ammazzati per evitare che gli sequestrassero un auto carica di armi e di droga. Poi Giuseppe Graviano, se conferma di averlo detto a Spatuzza e che quello che gli ha detto è vero, dovrà spiegare come, quando e dove ha incontrato Berlusconi e Dell'Utri per stringere i patti scellerati e a quali condizioni, fornendo i relativi riscontri. Già precedenti e clamorose rivelazioni di un "pentito" di tutto rispetto come Salvatore Cancemi a proposito di incontri e patti stipulati da lui e dal capo di Cosa Nostra Stefano Bontate con Berlusconi e Dell'Utri e che dovevano puntellare la prima grande indagine per mafia a carico di "quello di Canale 5" e del "compaesano" sono miseramente crollate al momento della verifica dei luoghi e delle date, provocando l'archiviazione del procedimento. Infine, confermare Spatuzza significa confermare il clamoroso fallimento di quindici anni di indagini e di processi per la strage di via D'Amelio con tutte le relative conseguenze per i famosi teoremi sui "mandanti occulti" e sui rapporti tra la mafia e la politica. E significa anche far crollare un altro dei teoremi che va oggi per la maggiore, quello della strage di via D'Amelio e dell'assassinio di Paolo Borsellino che sarebbero stati incoraggiati e provocati dalla presunta "trattativa" tra lo Stato, rappresentato dal generale Mario Mori e dai carabinieri dei Ross, e la mafia. Secondo quest'ultimo teorema dei professionisti dell'antimafia il Capo dei Capi, Totò Riina, avrebbe deciso la strage di via D'Amelio solo all'ultimo momento, quando avrebbe saputo che Paolo Borsellino, avvertito della trattativa in corso tra lui e Provenzano con i carabinieri dei Ros tramite Vito Ciancimino, vi si era opposto.   Ed è sulla base di questo teorema e il supporto che a esso sta dando da un anno alle procure il figlio di Vito Ciancimino (anche lui premiato recentemente con un forte sconto della condanna inflittagli per il riciclaggio del "tesoro"del padre) che stanno processando anche il generale Mori e i suoi ufficiali. Ma capita che Spatuzza ha rivelato, tra l'altro, di essere stato personalmente incaricato di procurare il tritolo, come effettivamente lo procurò,che doveva servire sia alla strage di Capaci, dove fu ucciso Giovanni Falcone, che alla strage di via D'Amelio, e di conseguenza anche l'uccisione di Paolo Borsellino era stata decisa da tempo e per tempo, e non c'entrava niente la presunta trattativa con i Ros e la presunta opposizione di Borsellino alla trattativa stessa. La conferma di Giuseppe Graviano alle rivelazioni di Spatuzza, se mai vi sarà e fosse confortata da convincenti riscontri, provocherebbe ai teoremi e alle più recenti indagini di tre o quattro procure più danni che conforto ai tentativi di coinvolgervi Silvio Berlusconi. Forse ha ragione Antonio Di Pietro: meglio lasciar perdere e, se mai, premiare Graviano perché non confermi e smentisca Spatuzza.