Il pugno di Teheran contro l'Occidente

Avvertimenti e minacce per tutti coloro che hanno partecipato o sono considerati responsabili e mandanti morali dei disordini che, negli ultimi giorni, hanno fatto registrare il bilancio più grave dall'inizio delle manifestazioni in Iran. Ieri, uno ad uno, tutti i principali membri dell'establishment di Teheran hanno pronunciato la propria sentenza, a partire dal ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki fino all'ayatollah Ali Khamenei. Sentenze di condanna, senza appello. «Un pugno in bocca», l'esordio shock del capo della diplomazia iraniana. Se la Gran Bretagna non la finirà con le sue «parole senza senso», «riceverà un pugno in bocca»: ha proposto infatti Mottaki, parlando alla fine di un incontro ufficiale con una delegazione somala. Termini diversi da quelli riferiti dall'agenzia Fars in lingua inglese che ha tradotto dal persiano «a slap in the face», cioè un ceffone, ma poco cambia. Ancora una volta tra Londra e Teheran è scontro aperto. Tanto che, ieri, l'ambasciatore britannico nella capitale iraniana, Simon Gass, è stato convocato nella sede del ministero degli Esteri iraniano. A scatenare la nuova disputa sono state le affermazioni di David Miliband, capo del Foreign Office, che aveva definito molto «preoccupante» la «mancanza di autocontrollo» delle forze dell'ordine iraniane, elogiando il «coraggio degli oppositori». Quella tra Londra e Teheran è una disputa di lunga data che, la scorsa estate, aveva portato anche all'arresto di alcuni impiegati dell'ambasciata inglese nella capitale iraniana, all'espulsione di due diplomatici e del corrispondente della Bbc, Jon Leyne. Ma dall'inizio delle manifestazioni, dopo il voto di giugno, i vertici della Repubblica Islamica accusano tutte le potenze straniere per il ruolo che starebbero avendo nell'accendere la piazza. La tesi del complotto pilotato dall'esterno emerge anche nelle dichiarazioni del presidente Mahmoud Ahmadinejad, le prime pronunciate dopo gli scontri degli ultimi giorni, secondo cui le manifestazioni sarebbero solo una «nauseante carnevalata» ordita «dai sionisti e dagli americani», definiti «gli unici spettatori di questa commedia ripugnante». Le Guardie della Rivoluzione, il corpo speciale istituto dopo il 1979 a salvaguardia della Repubblica Islamica, hanno diffuso invece un comunicato in cui accusano i media stranieri di stare conducendo una guerra psicologica per rovesciare lo stato islamico. «Chi ha organizzato questo», si legge sul sito dell'agenzia Isna, «pagherà per la propria insolenza». Proprio ieri, intanto, è stato confermato l'arresto di un reporter della Dubai Tv, durante gli scontri di domenica. Insieme anche altri giornalisti iraniani riformisti, come Mashallah Shamsolvaezin, Morteza Kazemian, del quotidiano «Etemad», e Mohammad Javad Saperi. E più la protesta acquista vigore a Teheran, più le autorità iraniane sentono il bisogno di innalzare i toni. In parlamento, il leader del Majilis, Ali Lariani, ha usato parole decise, condannando «i commenti disgustosi dei governi occidentali riguardo agli scontri avvenuti domenica scorsa» e ordinando alla magistratura di «arrestare chi insulta la religione», imponendo loro «il massimo della pena»; mentre la voce della guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, è giunta attraverso un suo rappresentante, Abbas Vaez-Tabasi, che dalla Tv di Stato ha invocato la legge islamica, la Sharia, nei confronti dei «mohareb», cioè i nemici di Dio. Nel frattempo, continuano a mancare all'appello molti dei dimostranti che hanno invaso le strade della capitale iraniana nei giorni dell'Ashura e si allunga la lista degli arresti eccellenti. Tra questi anche la sorella del premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi che ha denunciato personalmente, sulle pagine del sito «Rahe Sabz.net», il fermo di Nooshin, come un tentativo di fare pressioni su di lei, all'estero da tempo. In prigione è tornato anche Shahpur Kazemi, cognato di Moussavi, che era stato liberato dopo quattro mesi di detenzione. Dubbi, invece, sulla sorte di un altro personaggio illustre, considerato uno dei leader dell'opposizione. Sui alcuni siti si legge infatti del fermo di Mehdi Karroubi, una notizia smentita da chi lo vuole vittima di un attacco mentre usciva da una moschea, nella parte orientale di Teheran.