Sin dai banchi di scuola insegnano che il modo migliore per interpretare una battaglia politica è dando il buon esempio.
Nonsenza ragioni, il centrosinistra ha fatto della sua contrarietà alle leggi ad personam un proprio carattere distintivo. E se per caso un Bersani o un D'Alema accennano lontanamente alla sola ipotesi di non fare ferro e fuoco contro una legge che esplicita il legittimo impedimento di un presidente del Consiglio a partecipare ai processi che lo riguardano, ecco che vengono sommersi da polemiche feroci. È l'ipocrisia della sinistra massimalista. La stessa che strepita se un vertice istituzionale (in quanto votato liberamente dai cittadini italiani) non viene sottoposto alla gogna in diretta mondiale e che si gira dall'altra parte se un proprio eletto, un sindaco, chiede una legge – esplicitamente “ad personam” – per potersi presentare alle elezioni regionali senza rischiare la propria poltrona. Ecco, è questa l'ipocrisia che condanna la sinistra al suo ruolo minoritario nel Paese. Non bisogna avere più lauree per compulsare la sua cultura dei due pesi e delle due misure. L'ultimo caso – che sarebbe uno scandalo se non riguardasse il centrosinistra – è quello che si sta consumando in Puglia. La regione è una storica roccaforte sia dell'ex premier Massimo D'Alema che del ministro (ed ex governatore) Raffaele Fitto ed è qui che Pier Ferdinando Casini ha un particolare radicamento, sia elettorale che personale. Si può comprendere come la sfida sia ad alta tensione. Si è affermata infatti l'idea che l'Udc sia il partito jolly: chi si allea con i centristi (determinanti con il loro 8%) vince. Casini ovviamente non può digerire un'intesa con il comunista Niki Vendola che pure ha governato con buoni consensi negli ultimi cinque anni e così dal cilindro del Pd esce il nome del candidato Michele Emiliano. Doveva essere una candidatura utile solo a far rinunciare Vendola. Il pasticcio è stato doppio: l'attuale presidente della Regione non ha arretrato e l'attuale sindaco di Bari non ci sta a fare la «mossa». Ed è stato quest'ultimo a rilanciare: «voglio una legge ad personam per essere candidato». In effetti, in Puglia la normativa prevede che un sindaco, per candidarsi alla guida della regione, debba prima dimettersi. È una regola corretta, che andrebbe anzi estesa anche ai ministri (si pensi al caso del Veneto). Nessuno impedirebbe ad Emiliano di correre alle elezioni ma si eviterebbe che il primo cittadino della prima città della regione blocchi l'amministrazione del Comune per la campagna elettorale o peggio la usi come strumento di propaganda. Non solo. Le dimissioni darebbero il senso del rischio e dell'assunzione di responsabilità. Ovviamente queste sono anche le ragioni per cui viene chiesto di cambiare la legge. Ci sarebbe da vergognarsi ma siccome i protagonisti sono avversari di Berlusconi e l'interessato è addirittura un magistrato, ecco che la vicenda finisce fra le cronache minori. È invece la cifra di un Pd purtroppo allo sbando, diviso fra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, fra ciò che chiede al suo avversario e ciò che dimentica per i suoi dirigenti.