"Termini non deve chiudere La nostra sarà lotta continua"

Sono le 17,58 quando sul telefonino di un manifestante arriva il messaggio. Brutte notizie. Prevedibili, certo. Ma non per questo meno amare: «Confermata la chiusura della produzione auto dal 2011, problema sociale è del Governo», scrive telegrafico ai «suoi» il segretario della Fiom di Termini Imerese Roberto Mastrosimone, che è ancora a Palazzo Chigi. Anche la reazione è prevedibile. Una rabbia mista a rassegnazione per la conclusione di una vicenda che getterà sulla strada migliaia di famiglie siciliane e che, secondo i quattrocento manifestanti venuti dalla Sicilia per sostenere con i «compagni» di Pomigliano D'Arco l'incontro con l'esecutivo, dimostra la debolezza e l'incapacità del capitalismo italiano.   Un capitalismo «assistito dallo Stato - spiegano - quindi anche da noi». Nel mirino, ovviamente, c'è l'ad della Fiat Sergio Marchionne che, sottolineano gli operai, «per anni ha preso soldi dai cittadini» e, quindi, «ora deve restituirli». I lavoratori erano pronti al dialogo, ma solo a determinate condizioni. «Il 22 dicembre ci sarà un tavolo aperto a Palazzo Chigi, al quale ci presenteremo senza alcun pregiudizio, ma ad un patto: che nessuno si sogni di paventare l'opportunità di trasferire, sornionamente, la produzione in angoli della terra dove la manodopera è più conveniente. Termini Imerese è nata qui, con tutti i suoi macchinari e qui è stata corposamente foraggiata la sua produzione Fiat in questi ultimi 40 anni: qui vogliamo che resti», aveva annunciato Mastrosimone. Invece Marchionne ieri ha mandato in frantumi ogni speranza. Termini chiuderà. Entro il 2011. Ed è facile immaginare che la produzione della «Y» sarà trasferita in luoghi, come paventava il sindacalista Fiom, dove il costo della mano d'opera è più basso. «Il nostro stabilimento conta 1400 dipendenti ma l'indotto è di 2100 posti di lavoro - spiega il delegato Fiom Giuseppe Giudice - È una fabbrica che impiega gente di una certa età, la media anagrafica è sui 50 anni, perciò è difficile per queste persone e per i loro nuclei familiari trasferirsi a Pomigliano, che comunque ha i suoi problemi, o addirittura a Torino. L'unica soluzione per noi è mantenere aperto Termini. Se sarà un brutto Natale? - continua Giudice - Sicuro che lo sarà, anche se è dal 2002 che passiamo feste amare. Allora, per risolvere la situazione, portarono la "Y" da Melfi a Termini. Ora chiudiamo malgrado la "Y" e così sarà per Pomigliano, perché anche la Panda che producono lì sarà presto eliminata. La Fiat, infatti, vuole mantenere solo tre poli: Melfi, Mirafiori e Cassino».   Ma di chi è la responsabilità? L'indice è puntato contro Marchionne. «La Fiat chiede al Governo di costruire le auto all'estero e questo è inaccettabile, noi chiediamo investimenti in Italia per non diventare da Paese costruttore un Paese importatore - prosegue il delegato Fiom - La ricerca di profitti è lecita per un imprenditore, però i sussidi li paga la collettività e la Fiat ne ha ricevuti tanti in questi anni». Gli fa eco Benedetto, 40 anni, moglie massaia e due figli piccoli: «Noi siamo già in cassa integrazione e io prendo mille euro al mese. La Fiat, dopo aver intascato un sacco di denaro dallo Stato, ridà la palla al Governo. Ma la colpa è anche dello Stato: troppi finanziamenti a fondo perduto». «La verità è che la Fiat e morta con Gianni Agnelli - osserva un altro operaio - Così a Termini, dove non c'è assenteismo ed esiste un alto livello di produttività, si distrugge l'economia locale, che ruota tutta intorno alla Fiat». Piove. I lavoratori si avviano verso la stazione. Che fare nei prossimi giorni? «Decideremo a partire da domani - dice Giudice - Comunque non abbiamo alternative. Per noi lo stabilimento è la vita, per non parlare dei giovani che usufruiscono dell'indotto. Quindi, la lotta continua».