Bersani teme Di Pietro e frena sul confronto

Raccontano che quando ieri mattina Pier Luigi Bersani ha sfogliato i giornali si sia alquanto innervosito. Per un attimo il segretario del Pd ha avuto l’impressione di essere il protagonista del remake di un vecchio film. Antonio Di Pietro che, sulle pagine del Corriere delle Sera critica Massimo D'Alema e avverte che lui, «con questi Dracula», non farà mai alcuna riforma. Rosy Bindi che da quelle di Repubblica invita il lìder Maximo ad essere «più prudente» e a non usare «la parola inciucio che è impropria». Nicola Latorre, braccio destro di Baffino, che su Il Giornale non risparmia nessuno: da Walter Veltroni («oggi rinnega quello spirito bipartisan che ieri invocava») a Di Pietro («se non cambia diverrà inutile e si troverà senza elettori»), passando per Eugenio Scalfari («Non sarà certo lui a condizionare le nostre scelte»). E, come se non bastasse, anche un restroscena che parlava di un imminente incontro tra il leader del Pd e il premier. Quando Bersani ha letto tutto questo ha pensato immediatamente al «vecchio Pd». Quello dei segretari «sbriciolati» dagli alleati e dalle infinite polemiche interne. Così, quando qualche ora dopo, durante un incontro sull'ambiente, i giornalisti gli hanno chiesto un commento sull'argomento, non si è sottratto. Anzitutto ha spiegato che non sono in programma «incontri o vertici particolari perché occorre portare la discussione nella sede giusta» che è, ovviamente, il Parlamento. «La parola dialogo - ha proseguito - non mi piace, la trovo "malata", non si fa capire. E tanto meno mi piace "inciucio". Preferisco confronto, accordo o disaccordo, nella trasparenza e nella chiarezza». Che tradotto vuol dire: sì alle riforme, ma niente leggi ad personam. Anche perché, ha aggiunto, «non siamo una caserma, siamo un partito plurale. Ci sono tutte le "variazioni sul tema,", ma la linea è quella che ho detto adesso». In realtà, spiegano i ben informati, dietro le parole di Bersani non si nasconderebbe solo il timore dell'autologoramento. Tra quattro mesi ci saranno le Regionali e il segretario non può permettersi di perdere uscire dal suo primo appuntamento elettorale con una sconfitta e con un Idv ulteriormente rafforzato. Insomma non ci può essere una campagna elettorale in cui il Pd debba andare in piazza a difendersi dall'accusa di inciucismo con il «nemico» Berlusconi. Per questo il segretario ha voluto mettere le cose in chiaro. Ed è per questo che, negli ultimi giorni, diversi esponenti del Pd, in colloqui con i colleghi della maggioranza, pur aprendo alla possibilità di un lavoro comune sulle riforme, hanno posto un'unica condizione: «Non ci fate votare niente prima delle Regionali. Non possiamo permettercelo».