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"Chi ha sparso odio su di me ha influenzato Tartaglia"

Silvio Berlusconi lascia in auto l'ospedale San Raffaele di Milano

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Abbassiamo i toni. Tutti. Perché gli avversari politici devono essere delle persone da rispettare e non certo dei nemici da aggredire e abbattere. Altrimenti si armano mani come quella di Massimo Tartaglia. Silvio Berlusconi, a una settimana esatta dall'aggressione subita in piazza Duomo a Milano, è «riapparso». Non ce l'ha fatta a restare in silenzio per così tanti giorni, lontano da quello che definisce «il suo popolo», l'Italia «che mi ama e che mi fa sentire il suo affetto». Non è intervenuto di persona ma si è fatto sentire per telefono. Ieri mattina, infatti, ha parlato a una manifestazione di solidarietà nei suoi confronti organizzata a piazza Brà a Verona. L'artefice del collegamento è stato il sottosegretario Aldo Brancher che lo ha chiamato sul telefono cellulare e poi lo ha «riversato» sulla piazza con gli altoparlanti. Berlusconi ha parlato lentamente, cercando di mascherare la fatica e le difficoltà dovute alle bende e alle medicazioni sul volto. Ma ha mandato un messaggio chiaro al mondo politico. Magari anche una risposta indiretta a chi, come Pier Ferdinando Casini, sabato lo aveva accusato di essere il primo responsabile del clima di odio e di rancore che sta imperversando in Italia. E a chi continua a ripetere che il premier quell'aggressione se la sia andata a a cercare. «Credo che a tutti sia chiaro che se di un presidente del Consiglio si dice che è un corruttore di minorenni, un corruttore di testimoni, uno che uccide la libertà di stampa, che è un mafioso o addirittura uno stragista e un tiranno, è chiaro che in qualche mente labile, e purtroppo ce ne sono in giro parecchie, possa sorgere il convincimento che essere tirannicidi e diventarlo vuol dire essere degli eroi nazionali e fare il bene della propria patria». Quello che è successo, ha sottolineato, «deve avvisarci del fatto di come sia davvero pericoloso guardare agli altri come a dei nemici e non persone da rispettare. Noi lo facciamo con gli altri e ci piacerebbe che lo facessero gli altri nei nostri confronti». Un invito dunque all'opposizione. Almeno a quella parte più responsabile che, con D'Alema e Bersani, sta provando ad incamminarsi sulla strada del dialogo, rinunciando ai toni da guerra continua che invece preferiscono Franceschini, Veltroni e Di Pietro. Quella di cui il premier inizia a fidarsi e con la quale potrebbe iniziare un percorso di riforme. Berlusconi, comunque, ha voluto rassicurare i suoi sostenitori: queste aggressioni non mi faranno indietreggiare. Anzi. «Andrò avanti per il bene del Paese — ha spiegato — e continuerò a lavorare più di prima nell'interesse di tutti». Poi un ringraziamento a chi gli è stato vicino: «In questi giorni ho avuto davvero il segno del fatto che molti italiani sono vicini a noi e anche gli ultimi sondaggi dicono che due italiani su tre sono schierati con noi. C'è un'Italia che ama contrapposta a una che odia, ma l'amore vince sempre sull'invidia». Parole che potrebbero diventare lo slogan su cui il Cavaliere intende puntare nell'imminente campagna elettorale per le regionali del 2010. «Questo — dice infatti il premier - è il messaggio che intendiamo portare in giro per tutta l'Italia». E che la testa sia già al voto lo si capisce quando Berlusconi lancia quella che definisce una idea «birichina», invitando i suoi sostenitori a far trovare «sotto l'albero di Natale una tessera del Pdl». Ma c'è anche spazio per un'ultima proposta, quella di cambiare l'inno storico di Forza Italia. Quando Aldo Brancher glielo dedica dalla piazza il Cavaliere lo interrompe spiegando che le parole andrebbero cambiate: «Bisognerebbe dire meno male che ci siamo noi, noi che crediamo nel nostro Paese, nella democrazia e nella libertà».

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