Milingo: "Il Vaticano non mi fermerà"
«Non sarà quest'ultimo provvedimento del Vaticano a fermare la mia opera missionaria intorno al mondo. Non è mia intenzione sfidare nessuno, ma sono deciso a ritornare in Italia, appena possibile»: questo il laconico commento alla decisione della Santa Sede fatto da Emmanuel Milingo, non più vescovo e neppure sacerdote della Chiesa cattolica, che lo ha ridotto allo stato laicale. L'ho rintracciato telefonicamente, ma non mi ha voluto rivelare dove si trovasse insieme alla moglie Maria Sung, che all'ex monsignore ha procurato una valanga di problemi, sin dal giorno del loro clamoroso matrimonio. Tanto, che moltissimi seguaci di Milingo, in Italia, oggi non vogliono più sentire parlare di questa coppia, protagonista di alcuni sgradevoli episodi. Stavolta, l'ex sacerdote africano l'ha fatta grossa: ha addirittura - a modo suo - consacrato vescovo un medico e sacerdoti due giovani laici. È accaduto il 27 luglio scorso. Poi, a Grumolo delle Badesse, in provincia di Vicenza, aveva con l'aiuto di alcuni suoi sostenitori affittato una casa, dove teneva riunioni, riceveva fedeli, intonava preghiere di guarigioni e sedava persone «possedute dal demonio». Ma, la proprietaria della casa lo ha buttato fuori per insolvenza e la «moglie» di Milingo ha persino aggredito una fedele dell'ex monsignore. A Bologna, in un albergo del centro, Maria Sung aveva addirittura fissato un ticket per i fedeli che volevano vedere e parlare con il marito. La storia è finita addirittura in una trasmissione televisiva, che ha denunciato questa sorprendente iniziativa della «signora» Milingo. Insomma, anche tra i fedeli italiani del guaritore africano serpeggia un vivo malcontento, contro colei che, dal giorno dello scandaloso matrimonio, è sempre stata la regista palese di tutte le iniziative di Milingo, moltissime delle quali - a parte il rapporto d'insubordinazione con la Chiesa cattolica - si sono rivelate un vero boomerang per le iniziative del marito. Egli sostiene che, quanto prima, tornerà in Italia, ma questa volta dopo la ferma decisione della Santa Sede non potrà più vestire l'abito talare e quindi, se lo farà, all'aereoporto di Fiumicino sarà subito accompagnato al primo aereo in partenza per lo Zambia. Difatti, Milingo è attualmente cittadino di quello stato africano, dal momento che, da anni gli è stato, provvidenzialmente ritirato il passaporto diplomatico vaticano. C'è da dire che il Ministero dell'Interno italiano aveva anche tentato di bloccare la venuta e l'attività di Milingo in Italia, perché come cittadino extra-comunitario, aveva bisogno di un regolare visto d'ingresso. Ma qualcuno all'estero glielo concedeva, neutralizzando così un tempestivo provvedimento di espulsione, già preparato dall'attento dottor Maurizio Improta, capo dell'ufficio stranieri della questura di Roma. Non solo, ma l'ex vescovo è ricorso al Tar ed ha dimostrato che qualcuno autorevole lo aveva invitato in Italia e garantiva per il suo sostentamento, insieme alla signora Sung. Ma le cose stanno cambiando. Dopo la ridicola esibizione tra fotomodelle in costume di bagno, sulla riviera romagnola, già gran parte dei suoi supporters in Italia si è ribellata, particolarmente contro la moglie che veniva accusata di amministrare le «comparsate» televisive del marito, deridendo così il prestigio carismatico del guaritore africano. Stavolta, il Vaticano è finalmente entrato con mano pesante. La riduzione allo «stato laicale» significa che l'ex monsignore non può più, almeno nel nostro Paese, andare in giro ancora vestito da vescovo, con la fascia viola ed il crocefisso d'oro sul petto. Neppure da semplice sacerdote, supposto che gli consentano di rimettere piede in Italia. Eppure, la Chiesa ha sopportato per anni tutte le incredibili imprese di Milingo, cominciando da quello spettacolare matrimonio, che lo ritraeva in smoking, sigaro e garofano all'occhiello, accanto alla moglie coreana, scelta dal reverendo Moon, ma che egli già conosceva bene da Roma, perché la signora coreana esercitava il mestiere di agopunturista dalle parti della Laurentina. Papa Giovanni Paolo II lo aveva perdonato e lo aveva affidato alle cure di un ordine religioso, che lo aveva addirittura portato nell'America del Sud, per un periodo di penitenza e di riflessione. Sembrava cambiato e pentito di quel gesto sacrilego, che la moglie aveva rafforzato indossando i sacri paramenti del vescovo in piazza San Pietro e reclamando la libertà di Milingo, a suo dire, «sequestrato» dalle autorità eccelsiastiche. L'ex monsignore, apparentemente ravveduto, era stato sistemato a Zagarolo, in una tensostruttura, discretamente sorvegliato dai padri focolarini, ma evidentemente il sacerdote africano non seppe resistere ai richiami nuziali della «moglie», con la quale era rimasto segretamente in corrispondenza. Tanto, che alla prima occasione, elusa la sorveglianza, è sparito da Zagarolo ed è volato in Corea a riprendersi l'addolorata consorte. Da quel giorno, negli Stati Uniti e in Africa aveva ripreso addirittura ad ordinare sacerdoti e vescovi, inizialmente per la Chiesa Africana d'America e poi per la sua organizzazione, ormai scaricata completamente dal reverendo coreano Moon. Stavolta, la Chiesa ha deciso che deve interrompere quelli che definisce «gravi delitti», cioè l'ordinazione di vescovi e sacerdoti, addirittura laici e persino sul territorio italiano. Il portavoce vaticano Padre Lombardi non ha usato mezzi termini, perché evidentemente per Benedetto XVI la misura è ormai colma. Era stato scomunicato, ma secondo il diritto canonico restava comunque ancora sacerdote ed allora quest'ultimo provvedimento recide definitivamente ogni legame, almeno per quanto riguarda la sua apparizione ancora vestito da vescovo, come se nulla fosse accaduto. Adesso è per il Vaticano è diventato semplicemente «il signor Milingo». Il problema è che l'ex vescovo nel nostro Paese, gode ancora di autorevoli ed invisibili protezioni, ma stavolta sono i suoi stessi ex seguaci che gli sbatteranno la porta in faccia, stufi della protervia, sempre dimostrata dalla signora Maria Sung, che vigila il marito con la stessa grinta di un molosso napoletano.