Fini chiama, Berlusconi tira dritto

  Lo raccontano abbattuto. Giù di tono. Giù di morale. In realtà Silvio Berlusconi, anche nel chiuso della sua stanza al settimo piano del San Raffaele, fa politica. Eccome se fa politica. Gioca su più tavoli, come suo solito, si lascia aperte tutte le possibilità nel «dopo statuina», che gli ha già fatto capitalizzare le visite di Bersani e Fini e la telefonata - non diretta a lui - della moglie Veronica.   È un Berlusconi più forte di prima, l'istituto Piepoli gli dà pure tre punti percentuali di popolarità in più. Il senso è chiaro: avanti tutta. Fine delle mediazioni. Che poi era stato anche il senso del discorso fatto a piazza Duomo prima di essere colpito dalla statuetta. Un discorso nel quale Berlusconi aveva annunciato la fine della diarchia, d'ora in poi si deciderà nel Pdl secondo lo statuto: insomma deciderà lui e solo lui. Ieri la giornata segna il ritorno sulla scena politica di Berlusconi. Anche se dal letto dell'ospedale.   Di primo mattino Roberto Maroni va alla Camera e nella sua informativa lega, seppur non direttamente, la successione di quanto accaduto domenica: le contestazioni dei «viola» a Berlusconi mentre parlava dal palco e l'aggressione di Tartaglia. Poi tocca a Fabrizio Cicchitto, il capogruppo del Pdl. Un discorso il suo che solo un ingenuo può pensare non sia stato concordato direttamente con il grande capo. Cicchitto è duro, provocatorio, che dopo sei mesi di insulti scagliati contro il proprio leader si vuole togliere un po' di sassolini dalle scarpe. E punta il dito contro i responsabili della «campagna di odio iniziata fin dal 1994» e che è «concentrata contro una sola persona: Silvio Berlusconi».   Il capogruppo del Pdl fa nomi e cognomi ed elenca: «La campagna è condotta dal network Repubblica-L'Espresso, da quel mattinale delle procure che è Il Fatto, dalla trasmissione di Santoro Annozero e da un terrorista mediatico di nome Travaglio». Quindi l'affondo più politico: «L'Italia dei valori il cui leader di Pietro sta evocando la violenza» e «qualche settore giustizialista, onorevole Bersani, del suo partito». Altro giro altra corsa. Finito il dibattito sui fatti di Milano si parla di Finanziaria. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, prende la parola e annuncia che sarà posta la fiducia. Fini la prende come uno sgarbo e spara a zero: «Scelta deprecabile». Nel Pdl fanno finta di nulla. Nessuno dei big gli replica (ormai è questa è la linea: qualunque cosa dirà Fini, il partito non gli replicherà per non alimentare polemiche) ad eccezione di Sandro Bondi che si lascia scappare un «Fini non aiuta l'apertura di un clima politico nuovo di cui l'Italia ha bisogno, ma anzi rinfocola le polemiche». I capigruppo di Pdl e Lega, Cicchitto e Cota, replicano in modo beffardo: «Come dimostra la storia dei lavori parlamentari la questione di fiducia è sempre stata una decisione politica e come tale appartiene alla competenza e alle valutazioni del governo e della maggioranza».   Il presidente della Camera la prende come un affronto personale. Intanto perché era in corso una mediazione con il Pd che aveva già annunciato in aula di non tirarla per le lunghe con gli emendamenti: non sarebbero andati oltre domani a mezzogiorno, rispettando gli stessi tempi che darebbe la fiducia. Ma il governo sceglie la strada opposta. Non si tratta. E anche qui è ben difficile immaginare che Tremonti chiede di apporre la fiducia alla Finanziaria senza essersi fatto autorizzare dal presidente del Consiglio. Fini capisce l'antifona. Capisce che cosa sta accadendo e soprattutto si rende conto che i toni scelti dal governo e Pdl non sono quelli di cui aveva discusso con Berlusconi giusto il giorno prima. Per esempio, nella stanza del San Raffaele, il presidente della Camera si era lamentato per il fatto che proprio in aereo aveva letto Il Giornale che lo additava quasi come uno dei supporter di Tartaglia. Berlusconi gli aveva ribadito che del quotidiano non ne sa nulla. E poco più tardi il direttore Vittorio Feltri, in visita al nosocomio meneghino, non veniva ricevuto. Ufficialmente perché il Cavaliere in quel momento stava riposando. Ufficiosamente voleva essere un gesto di garbo nei confronti di Fini. Che molti finiani hanno inteso come la fine della linea politica dei falchi. Non è così. Berlusconi è falco e colomba. Così Fini lo chiama con la scusa di conoscere le sue condizioni di salute. Poi gli dice chiaramente che non ha gradito le incursioni di Cicchitto e Tremonti. Il Cavaliere rimette i panni (le penne) della colomba gli chiede di aspettare ancora un'oretta e sarà diramata una sua dichiarazione. È quella che comparirà sul sito del Pdl in risposta alle migliaia di messaggi di solidarietà. Scrive il premier: «Grazie di cuore ai tantissimi che mi hanno mandato messaggi di vicinanza e di affetto. Ripeto a tutti di stare sereni e sicuri. L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio». Basterà? Il primo banco di prova è l'ufficio di presidenza del Pdl che si riunisce oggi anche senza il Cavaliere. Non si deciderà sulle Regionali, si parlerà di Berlusconi. Ma il quadro è chiaro. Come prima. Molto più di prima.