«Il gesto di Tartaglia si innesta in una situazione politica dove l'aggressività e i toni alterati hanno preso il sopravvento sul dibattito e la discussione»
Lapsicologa e psicoterapeuta Paola Vinciguerra non ha dubbi: «Si tratta di un gesto che è figlio di un contesto di tensione che va monitorato attentamente affinchè non degeneri». Quale valutazione dà del gesto di Tartaglia? «Il soggetto, da quello che leggo, è in cura psichiatrica. Quindi si tratta di una persona caratterizzata da una psicologia instabile e con una forma di disagio psichico. Il suo gesto fa pensare a una persona con dinamiche persecutorie. Soggetti di questo tipo, nel momento in cui individuano la persona che per loro rappresentano simbolicamente il persecutore, esprimono con la violenza il proprio atto liberatorio e di soluzione del disagio. Eliminare colui che viene percepito come un persecutore significa esprimere l'azione risolutiva del disagio». Quanto ha influito lo scontro in atto nella politica? «Stiamo vivendo una realtà politica nella quale ci sono dei nemici, in cui le aggressioni verbali hanno preso il posto del confronto sui programmi. Questo atteggiamento porta come conseguenza a identificare un soggetto come obiettivo dell'aggressività. Viene favorita questa proiezione. La conferma che è in atto questo meccanismo è data dalla creazione sui sociale network, come Facebook, di gruppi pro e contro Tartaglia. Questo significa che in modo sotterraneo, c'è un clima di violenza e aggressività. È una situazione pericolosa». Ci potrebbero essere atteggiamenti di emulazione? «Posso dire che c'è una grossa vena di aggressività e quando questa è comune a molti individui, si arriva a forme di tensione sociale e di violenza di gruppo. A quel punto il bersaglio non è solo il premier ma scoppia uno scontro tra gruppi nemici». Si potrebbe creare una situazione simile a quella degli anni di piombo? «Mi sembra che l'hanno paventata in molti. C'è la percezione che le aggregazioni così facilmente raggiungibili tramite internet si possano muovere nella realtà. Il gesto della persona singola ha un significato per quella persona ma il fatto che lui abbia identificato in Berlusconi soggetto persecutore determina una reazioen di tipo sociale. Un'aggressione del genere avrebbe dovuto mettere in moto delle dichiarazioni di condanna invece ha creato gruppi di sostegno e questo esercito sta aumentando. Sta emergendo una realtà sotterranea di grande malessere e disagio che si esprime con forme aggressive». Quanta responsabilità hanno i media nell'amplificare tale tensione? «La Tv riporta dei fatti e con i montaggi sottolinea i convincimenti e quindi i telespettatori hanno un'immagine dell'evento dove c'è una vittima e un aggressore. Questo porta a una identificazione di chi guarda. I processi fatti in tv dovrebbero avvenire con toni più bassi. Il confronto è positivo ma se da questo si passa a un atteggiamento di grande aggressività si spaccano gli spettatori in due fazioni nemiche con tutto quello che ne consegue».