Bersani fra la piazza e i pazzi
Rosy cattolica e vendicativa
Tra la piazza e i pazzi. Eccolo, il problema di Bersani. Nel giro di una settimana è rimasto schiacciato fra le adunate di un popolo viola comunque disarmato, e i tiri al bersaglio di uno psicolabile aggressivo, ma con simpatie Pd. Al povero Pier Luigi il Segretario spetta così un ruolo anodino, grigio, dimesso. È il parente lontano che non va alle feste danzanti perché non si sente invitato, ma che non nega la cortesia di una visita al conoscente infermo. Intanto, nella sua democratica casa imperversa il caos. Perché in troppi si aggrappano a brucianti "se" e "ma", quelle micce accese sulla precaria solidarietà al ferito, mentre a lui non resta che appellarsi a un articolo, il terzo dello Statuto del Partito, dove è scritto nero su bianco che lui «rappresenta» il Pd, ne incarna l'intima essenza, ne «esprime l'indirizzo politico». Eppure gli serve di nuovo ago e filo, a Pier Luigi il Segretario, per suturare lo sbrego aperto dalla Presidentessa Rosy sulla tessitura della linea. Con Silvio adagiato sulla barella del pronto soccorso, la Bindi condannava sì il gesto del folle, però non rinunciava al fervorino al premier colpito, come certe infermiere che pretendono di rimetterti in piedi quando ancora ti schizza il sangue dalla faccia. «Non faccia la vittima, è uno degli artefici del clima violento», sentenziava in un'intervista la crocerossina. Così come otto giorni fa era andata a sputtanare (con permesso, ovvio) a San Giovanni l'assente Segretario, in quel "No B-Day", dove la B ricordava un po' anche Bersani. Una star indiscussa, Rosy. Tanto che Vespa ha voluto lei a "Porta a porta", a battibeccare con La Russa, Cicchitto e un Casini su di giri. A "Otto e mezzo" eccola insistere: «Il clima dell'odio? Chi lo alimenta non sta da una parte sola. Ministri e maggioranza hanno le loro responsabilità». Pier Luigi, di suo, fiutava che il partito non lo segue più. Tutti i Democratici, con i coltelli nascosti nei Burberry, gli chiedevano di rimettere in riga la Presidentessa: da Franceschini (figurarsi) a Chiamparino, dalla Binetti alla Serracchiani, da Merlo alla Sereni, tutto un coro di «condanniamo l'aggressione senza sofismi». Marino gigioneggiava: «Avrei detto come Bindi, e fatto come Bersani». Veltroni girava lo spiedino: «Nessuna giustificazione possibile per ciò che è accaduto». Uscendo dalle «due chiacchiere» con Silvio sul letto di dolore, il Segretario si impancava a portavoce: «Siamo tutti quanti, e parlo per il Pd, convinti che ogni gesto di violenza vada rifiutato e che occorra prendere un profilo di civiltà, di serietà e correttezza nel confronto politico anche quando aspro e radicale». Sul «clima surriscaldato» della politica, calava la battuta: «Il clima? Lasciamolo al summit di Copenhagen. Non mi piace che se ne parli in astratto». L'odio? «Gesti isolati». Tutto a posto? Neanche un po'. Se sei solo in casa puoi nascondere la polvere sotto il tappeto, ma quando inviti ospiti con le scarpe infangate hai voglia a dire che l'ordine regna sovrano. E quel Tonino lì è un alleato ingestibile. Non era bastata la dichiarazione a botta a calda («Berlusconi è un istigatore»): per ore è andato ripetendo che non voleva associarsi al «club degli ipocriti, alle ipocrisie un tanto al chilo e al perbenismo di maniera». Bontà sua, Di Pietro intuiva che «il premier non abbia bisogno di una mia visita», e che pur esprimendo solidarietà per l'aggressione era convinto di aver detto «quel che molti pensano: bisogna distinguere tra il gesto esecrabile di un malato di mente e il disagio sociale provocato da un governo che non fa nulla per le fasce deboli». Difficile scoprire il nesso fra le due cose, ma Tonino è uno di quelli che in casa d'altri batte il pugno sul tavolo e alza la voce, tutto rosso in viso. «Mi attaccano? Io avevo già lanciato l'allarme e lo rilancio: chi se la prende con me è come chi se la prende con il medico perché non accetta la malattia». Naturalmente, al momento dell'ammazzacaffé lo trovi sul balcone a gridare ai dirimpettai: «Il centrodestra accolga l'appello di Napolitano e rinunci alle leggi ad personam». Eccolo poi ammonire i commensali, togliendosi il tovagliolo annodato al collo: «In ogni caso, non costringiamo nessuno ad allearsi all'Italia dei Valori». Dove milita anche l'europarlamentare Sonia Alfano, una che «condanna» la follia di Tartaglia, ma...«non posso dare solidarietà ad un presidente del Consiglio che è un frequentatore di minorenni, un piduista, un corruttore, un frequentatore di mafiosi, un uomo che non ha il senso dello Stato». Tra i pazzi, la piazza, Rosy e Tonino, Pier Luigi il Segretario non sa dove nascondere i bicchieri di cristallo, quelli da tirar fuori - nel caso - alle prossime elezioni. Poi magari, dopo il voto, ci brinderà Casini.