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Silvio s'è ripreso il "suo" Pdl

Un giovane del Pdl consegna una maglietta contro la mafia al presidente del Coniglio, Silvio Berlusconi

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Una chiamata per tutto il partito. Un appello a «stare tranquilli», nonostante il clima di forte tensione, e continuare a lavorare «con la sicurezza di fare del bene per il Paese». È un pomeriggio di gran freddo a Milano. Ma nonostante ciò, di gente in piazza Duomo ad ascoltare il presidente del Consiglio c'è n'è davvero tanta. Berlusconi parla da leader del Pdl, da colui che intende riprendersi il partito in mano. Non lo dice espressamente, ma lo fa tra le righe, elencando tutti i risultati ottenuti dalla maggioranza e dal governo, annunciando il lavoro che il partito di via dell'Umiltà si appresta a sostenere con le Regionali 2010 alle porte. In questo modo il premier lancia un messaggio forte e chiaro. «Mi attaccano? Io vado avanti». Lo urla ai sostenitori arrivati in piazza ad ascoltarlo, così come ai numerosi esponenti del governo presenti per la manifestazione: «Non facciamoci spaventare da chi lavora diffondendo calunnie. La verità e il bene vincono sempre». Il comizio in piazza era stato organizzato dal coordinatore nazionale Ignazio La Russa per festeggiare l'avvio del tesseramento del partito. L'obiettivo era quello di una vera e propria con segna delle tessere (Berlusconi ha avuto la numero uno) e con l'occasione riportare il partito in piazza a Milano, a due passi da piazza San Babila, dove due anni fa dal predellino di una macchina, Berlusconi annunciò la nascita del nuovo soggetto del centrodestra. Il Cavaliere ha accettato l'invito subito, convincendosi, anche alla luce di quanto successo negli ultimi giorni, che un appello pubblico al suo partito, dalla sua Milano, servisse proprio. Non ha preparato nessun discorso ufficiale, nessun appunto. Come al solito parla a braccio, ma mette un po' di puntini sulle «i». «Dovrei essere qui a fare quello che si chiama un comizio. In realtà voglio solo farvi gli auguri di Buon Natale. State sereni e non credete a quelli che vanno in giro a fare catastrofismo. Stiamo uscendo meglio di altri Paesi dalla crisi, la maggioranza è coesa e il governo di conseguenza funziona». Mentre parla dal palco il premier riesce a fronteggiare anche un gruppo di contestatori che da un lato della piazza lo accoglie con slogan e fischi. Il Cavaliere non si scompone, replica con un triplice «vergogna», sottolineando che «questa è la differenza tra noi e voi, noi queste cose non le faremmo mai». È chiaro sin da subito che quello che Berlusconi vuole fare è far capire da che parte sta il partito, chi c'è al comando, verso cosa si sta andando. Facendo anche la conta di amici e nemici, ma a questo punto senza alcuna tolleranza verso chi «continua a gettare fango sull'operato del governo e sul presidente del Consiglio». Ecco che perché ripercorre alcune tappe di questo primo anno e mezzo di governo, compreso le recenti polemiche sul ruolo della Corte costituzionale: «Mi dipingono come un mostro, ma non credo di esserlo: intanto perché sono bello e poi perché sono quello che si dice un bravo fioeu (bravo ragazzo)». Scattano gli applausi. Mette in guardia dalla «cattiva informazione» data dai media, motivo per cui molte cose, tuona il Cavaliere, arrivano alle persone «totalmente distorte». Da qui l'esigenza di rivolgersi direttamente agli elettori, da qui l'esigenza di dar vita al tesseramento, «chiamando almeno un milione di persone a lavorare per il bene del Paese». Berlusconi ribadisce: «Siamo un partito assolutamente democratico e dobbiamo continuare a esserlo. Siamo una forza politica democratica non un partito in cui decide una oligarchia, in cui decidono uno o due persone». Ricorda che il Pdl è stata la sintesi di sette diverse formazioni che componevano il vecchio centrodestra. E annuncia che alle prossime elezioni politiche il partito sarà ancora più grande, perché «saranno con noi anche Daniela Santanché e Francesco Storace. Quindi passiamo da sette a nove». E l'Udc? «Se viene bene - chiosa il premier -. Altrimenti non piangiamo». Un partito che cresce, quindi, e dove ogni cosa si deciderà seguendo proprio le regole dello statuto. Uno statuto che, di fatto, da pieni poteri al presidente del partito, che quindi può decidere in piena autonomia. E così sarà, Berlusconi lo ripete più volte. A cominciare dalle Regionali: giovedì si svolgerà l'ufficio di presidenza del partito per chiudere la griglia dei candidati. Intanto ieri, il premier ha ufficializzato quello della Lombardia, Roberto Formigoni. Quando lo chiama sul palco i due sono anche protagonisti di un siparietto: «Lui è un vecchietto e io sono giovane: lui al g'ha frecc (ha freddo, ndr, indicando il cappotto del governatore lombardo) e io ho il fisico e sono in giacca. E non ho neanche la canottiera». Quello di Formigoni, ribadisce il premier, è un nome su cui c'è il pieno consenso anche «dell'alleato fedele Umberto Bossi». Capitolo giustizia. Il capo del Pdl torna anche a parlare di sovranità, attaccando i giudici e la possibilità della Consulta di abrogare le leggi ritenute non costituzionali. Per Berlusconi questo potere oggi è in mano a chi non ha consenso popolare, «quindi non possiamo accettare che giudici possano influenzare un altro organo istituzionale come il Parlamento». E quanto alla stessa Consulta, ribadisce le parole già pronunciate al congresso del Ppe a Bonn: «È composta da persone che per la loro storia personale appartengono alla sinistra». Quindi sottolinea: «Questo governo sta conducendo una lotta senza quartiere alla mafia e alla criminalità organizzata. Questa è l'antimafia dei fatti contro la loro antimafia della calunnia e delle menzogne». In un angolo del palco, ci sono Maurizio Lupi, Gregorio Fontana, i ministri Bondi, Gelmini, Tremonti e Brambilla. Ci sono tanti parlamentari locali. E c'è anche il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Berlusconi le consegna la tessera del Pdl, una novità visto che fino ad ora il primo cittadino di Milano si era astenuta dall'iscriversi ad un partito. La Moratti è contenta della sua scelta, pronta dice «per una nuova avventura politica». È importante per il presidente del Consiglio ripetere ancora l'invito a «stare sereni».   Lo fa più volte prima di scendere dal palco. Saluta tutti, fa i complimenti ai suoi ministri, fa persino gli auguri di Natale a tutti. Ed è lì che comincia il delirio: solito bagno di folla, abbracci, gente che cerca di toccarlo, di stringergli la mano. Il premier non si tira indietro. Fino a quando non viene colpito al volto e scappa via con la sua auto.

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