Lite mondiale sull'istituzione dell'Autorità di controllo per i tagli
.Come già anticipato nei giorni scorsi, anche dallo stesso ministero dell'Ambiente, gli impegni veri saranno presi tra un anno. I nodi che frenano la corsa al taglio delle emissioni di gas a effetto serra sono principalmente tre. Il primo tema su cui imperversa lo scontro è l'anno di riferimento per la riduzione delle emissioni. L'Unione europea indica il 1990, ma incontra il secco «no» degli Stati Uniti che preferirebbero il 2005. In quanto la stessa percentuale di riduzione, rispetto al 2005 richiede minore sforzo a confronto con il 1990. Ciò perché vent'anni fa il livello di Co2 nell'aria era inferiore al 2005. L'anno di riferimento per i tagli dei gas inquinanti è uno degli elementi base per un accordo, quindi manca un'intesa già in partenza. L'altro grande tema è stato sollevato dall'Unione europea. Se si ratifica un accordo internazionale ci deve essere qualcuno, o qualcosa, incaricato a verificare che le nazioni vincolate rispettino i patti. Bruxelles vuole un'Autorità di controllo per i tagli delle emissioni di gas a effetto serra. Ma Usa, Cina e India non sono d'accordo. Al posto di un organo ad hoc preferirebbero l'autocertificazione degli obiettivi raggiunti. L'Ue non vuole scendere a questo compromesso per ragioni di trasparenza. Terzo problema che ostacola la nascita di un Trattato a Copenaghen: un accordo sul clima dovrebbe essere ratificato da ogni singola nazione. E al momento il Senato americano non sembra aver voglia di porre la sua firma. È per questo che la presenza di Obama, anche se nei giorni cruciali del summit, regalerà importanza alla Conferenza ma non darà modo ai leader della Terra di impegnarsi da subito. La speranza ultima è che, oltre a un documento politico, a Copenaghen si indichi il timing per arrivare a un'intesa vincolante tra un anno e si riasca a stabilire una cifra da destinare ai Paesi in via di sviluppo. L'Unione europea propone 100 miliardi, con la Francia che fa opposizione interna indicandone 516. La Cina e il Brasile vorrebbero un impegno pari a 450 miliardi. Anche su questo il negoziato non sarà facile.