Pd in crisi, i moderati se ne vanno
L'ex leader della Margherita nonché fondatore del Partito democratico, Francesco Rutelli, aveva preannunciato il fuggi fuggi generale dal Pd. Lui è stato il primo a scappare via. Il primo di una lista che sta crescendo di giorno in giorno, di ora in ora. E dire che avvisaglie sul malcontento dei cattolici nel Pd ce ne sono state tante. Quasi tutte inascoltate. Con il picco raggiunto subito dopo la vittoria di Pierluigi Bersani a segretario del partito. L'ultima (per ora) a fuggire, è la senatrice Dorina Bianchi. L'accusa di tutti è che il Pd si sia spostato troppo a sinistra. Anzi, a dirla proprio con Francesco Rutelli «che si sia trasformato in un ceppo del Pds con molti independenti di centrosinistra». E questo per molti parlamentari moderati e cattolici segna proprio la fine della permanenza in questo soggetto politico. Dopo Rutelli, il caso più eclatante, seguito da uomini come Donato Mosella Marco Calgaro, entrambi rutelliani doc, ora è dunque la volta della senatrice Dorina Bianchi, che da ieri ha ufficializzato ciò che era nell'aria da tempo, e cioè di tornare nel suo partito di origine, l'Udc. Per non parlare poi di quelli che sono per così dire a bagno maria, sospesi, incerti. Tra loro, sicuramente, Paola Binetti, nelle settimane scorse al centro di un'aspra polemica proprio per la linea del suo partito. Sembrava che fosse lì lì per uscire ma poi, alla fine, ha desistito. O meglio, rinviato. Forse dopo le primarie, dicono gli esperti di Palazzo. Accanto a lei, altro esponente doc dell'ala moderata del partito di largo del Nazareno, Giuseppe Fioroni. Anche lui tra gli scontenti. Anche lui tra quelli che subito dopo l'uscita di Rutelli invitava il suo segretario a fare una riflessione, perché «il Pd deve a questo punto con più forza cercare di rappresentare gli elettori moderati, cattolici e liberali». E ancora, Enzo Carra. Anch'egli deputato storico del partito democratico. Da settimane voce del coro degli scontenti. Ancora ieri, dopo l'ufficializazzione del ritorno di Dorina Bianchi nei centrsiti, ha invitato il suo partito a «non scrollare le spalle» davanti all'ennesima «sconfitta» per il Pd. «Il progetto originario che doveva amalgamare diverse provenienze e culture è ancora più indebolito. Così non va - tuona Carra -. Mi auguro che Bersani e il gruppo dirigente pensino a correre ai ripari. Non hanno molto tempo per farlo». Già, Bersani. Il segretario del Pd, però, non sembra dare molto peso al fuggi fuggi dal suo partito (oltre ai cattolici c'è una vasta schiera di scontenti tutti ora nel gruppo misto del Parlamento). Nicchia. Glissa. Vanno via? Pazienza. In compenso, attacca il presidente del Consiglio. Per esempio ieri: dopo aver replicato alle parole della senatrice ribelle («il partito è ormai un satellite di Di Pietro») in modo del tutto laconico («mi spiace per la Bianchi, non ha colto la nostra sfida»), è passato subito ad attaccare il premier. «Io non ci credo ai complotti...Credo che siamo al tramonto di un ciclo - accusa il segretario del Pd rispondendo a Lucia Annunziata sulla teoria del "complotto" nei confronti di Berlusconi -. E nella luce di un tramonto possono succedere tante cose. E chi ha responsabilità e si definisce uno statista, non può dire barzellette». Parla anche di riforme, di quelle sul tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione. A cominciare dalla giustizia. «L'immunità è l'ultima cosa alla quale dobbiamo mettere mano». I democratici, ripete, sono pronti al confronto ma per discutere di un riassetto complessivo delle istituzioni e non per revisionare in primo luogo le norme sulla giustizia. «Noi siamo pronti a discutere su cose specifiche del processo generale di riforma. Abbiamo le nostre proposte e siamo disponibili a aprire una discussione anche per parti separate: Camera, Senato... e così via».