Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Le ambiguità nella difesa dell'ambiente

default_image

  • a
  • a
  • a

È ormai comunemente acclarato che la prossima conferenza internazionale di Copenaghen sul futuro climatico del pianeta sia destinata a fallire come le precedenti. Chi, alla luce delle nuove aperture degli Stati Uniti sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, aspirava al disegno di un nuovo dopo-Kyoto, avrà deluse le sue attese. Come sempre, si tratta di un problema economico, e ancora una volta sono i soliti singoli paesi, sulla base delle loro specifiche convenienze, che decidono di questioni che toccano tutti. Un attento sguardo ai modelli di consumo ecologico mostra che la crescita economica perseguita in condizioni di libero mercato, svincolato dalle regole, ha portato agli stessi tipi di eccessi che hanno causato la recente crisi economica. I modelli di consumo dei tre maggiori debitori ecologici mondiali sono particolarmente esemplificativi: gli Stati Uniti consumano 1,8 volte la loro biocapacità nazionale, intesa come area in grado di produrre e assorbire le emissioni generate; la Cina 2,3 volte e l'India 2,2. Opere di sensibilizzazione e parole pìe, purtroppo, non costituiscono azioni. Ancora una volta, così come avviene da sempre nei consessi planetari, siamo davanti ad un inutile elenco di mere "intenzioni".  Nel marzo del 2007, prima dunque della crisi economica mondiale, i paesi dell'Unione Europea hanno fissato l'ambizioso obiettivodi incrementare la produzione energetica da fonti rinnovabili, migliorare l'efficienza e tagliare le emissioni di CO2 rispettivamente del 20% entro il 2020. Probabilmente il conseguimento di tale obiettivo sarà complicato dal ritardo normativo di alcuni paesi, tra i quali si distinguono l'Italia e la Polonia. Da noi, infatti, si sta ancora lavorando per approvare le Linee Guida Nazionali che dovranno fissare strategie e rotta da seguire. A Copenaghen, i freni maggiori alla definizione di un accordo sono stati posti da India e Cina. Nessuno di questi paesi è disposto a sottoporsi a vincoli di alcun genere. Così facendo si impedisce a quelle forze interne a paesi come gli Stati Uniti e l'Australia, per esempio, a cui si devono le proposte che sono state da tempo avanzate, di portare a buon fine la loro azione, perché questo risultato dipende in gran parte dagli impegni che la Cina - il maggior emittente mondiale di gas serra nel 2008 in termini assoluti - e le altre economie emergenti si assumeranno a quel tavolo. Allo stesso modo, una parte del mondo imprenditoriale esiterà a stanziare massicci investimenti in conto capitale su impianti industriali a bassa emissione a causa dell'incertezza relativa al costo futuro delle emissioni stesse. La crisi finanziaria ha dimostrato la necessità di governi forti in grado di proteggere il bene pubblico. In un mondo dalle risorse limitate, non vi è alternativa ad una profonda regolamentazione. La politica deve riconoscere che il capitalismo esasperato ha trovato la sua nemesi non solo in campo finanziario, ma anche in quello climatico; e, dunque, nelle proposte di risoluzione della crisi mondiale, poiché non si potrà prescindere dai problemi ambientali, bisogna che l'azione dei governi sia forte e incisiva. Basti un esempio: la Cina ha affermato, al verificarsi di alcune delle condizioni sul tavolo a Copenaghen, di voler conquistare la leadership delle fonti rinnovabili, annunciando aumenti dell'efficienza energetica addirittura del 40%. Fino ad oggi ha utilizzato prevalentemente il carbone per produrre energia e, probabilmente, si confermerà un importatore netto di questa materia prima da India, Indonesia, Australia e dal resto del mondo. Difficilmente il carbone sarà rimpiazzato completamente, tuttavia una minore dipendenza potrebbe avere nel tempo un impatto sulla bilancia commerciale tra la Cina e le altre economie per quanto riguarda questa materia prima, con conseguenze difficilmente prevedibili. Ripercussioni, dall'esito dei trattati, si avranno anche sulle imprese: coloro che lanciano sul mercato nuove tecnologie pulite (imprese impegnate nella ricerca sull'energia eolica, solare e idroelettrica, nell'efficienza energetica, nel trasporto elettrico, ecc.), così come gli utilizzatori delle stesse, aziende lungimiranti che hanno affrontato rischi e investimenti con largo anticipo rispetto ai concorrenti meno virtuosi, tutte queste subiranno gravi perdite, con il risultato di ritardare ulteriormente lo sviluppo e il rilascio delle loro applicazioni. In definitiva ad oggi, e forse se continuerà così, il costo dell'energia cresce e gli sprechi non si riducono. La contraddizione sta tutta qui, in una serie di numeri che per i tecnici sono di tutta evidenza, ma che sembrano non bastare alla classe politica del pianeta per decidere un'inversione di rotta netta, per accelerare la fuoriuscita dall'era dei combustibili fossili imboccando la strada di sistemi energetici più efficienti, più puliti, più capaci di distribuire ricchezza in modo ampio.

Dai blog