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La piazza dei soliti noti

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Dall'immaterialità del web al duro asfalto della piazza di san Giovanni. Il popolo «autoconvocato» da un gruppo di blogger ha riempito le strade di Roma, lasciando da parte il solito balletto delle cifre: una forbice che va dalle 100 mila persone alle 500 mila. Come un Primo Maggio a dicembre, Piazza San Giovanni si è riempita di persone, una comunità festosa ma indignata, venuta da ogni parte d'Italia con uno scopo preciso: dire no a Berlusconi. Lo striscione iniziale «Berlusconi dimissioni», tutti dietro. Applausi ai rappresentanti di Articolo 21, e all'ex cantante degli Articolo 31. Come succede per il Capodanno, la manifestazione aveva avuto un preludio in quel di Sidney, dove un centinaio di «esuli» avevano sfilato dietro una bara con la scritta «Italia». La paura più grande degli organizzatori - che fosse un sequel della manifestazione del luglio 2008 a piazza Navona - riguardava gli insulti dal palco, allora diretti al Vaticano e a Napolitano-Morfeo. A parte questo, molti gli stessi componenti e lo stesso clima. Nonché i titoli, che si assomigliavano parecchio: ieri No Cav day, oggi No B. day. Altro quesito: la piazza era politica o antipolitica? L'una e l'altra. Nel senso che non c'erano politici sul palco, ma molti sotto. Largo alla società civile, alle associazioni, ai lavoratori, agli artisti, ai giuristi, ma volutamente vade retro a deputati, senatori, segretari e vice. A parte le bandiere scontate dell'Italia dei valori, di Rifondazione, di Sinistra e libertà, il dilemma era la partecipazione del popolo del Pd, questione veramente pleonastica. Nel senso che quasi nessuno degli slogan scritti o urlati dai partecipanti poteva non essere condiviso dai militanti del partito democratico. Così, quando arriva Rosy Bindi - l'attrazione clou - lo sciame di cronisti e telecamere la segue come un pifferaio magico. Un cronista sfila il microfono da sotto il naso a Angelo Bonelli, il verde, per correre dalla vicepresidente del Pd. Sembra una gag delle Iene. Il corteo è esplicito come non mai. Berlusconi in tutte le salse, «Puzzone vai via», «amo la Costituzione non la prostituzione», sul maxiscreen del palco ecco un Berlusconi gigante che mima una mitragliata contro qualcuno, eccone uno con la coppola in testa, dietro le sbarre di una prigione, in mezzo a due poliziotti, fotomontaggio sull'immagine storica dell'arresto di Giovanni Brusca. La mafia, ovviamente, fa da filo conduttore. Spatuzza è nei commenti di tutti, attore protagonista. Dietro lo striscione «Con infamia e senza lodo», un comitato di lavoratori disoccupati, urla al premier di presentarsi davanti ai giudici. Ricercatori a mille euro, lavoratori in mobilità applaudono prima Ascanio Celestini che dal palco fa l'elogio della merda (letterale) e poi Oscar Luigi Scalfaro, ricordato come difensore della Costituzione. Un gruppo di ragazzi da Potenza ce l'ha col pacchetto sicurezza, gli studenti di Aosta «vogliono urlare il proprio sdegno contro il processo breve». Una signora romana quasi urla chiedendo a chissà chi «dove è finita l'agenda rossa di Borsellino?» Prevale il viola, colore penitenziale, meglio quaresimale, periodo in cui nel Medioevo erano proibiti tutti gli spettacoli nelle pubbliche vie e piazze, segno di tempi grami anche dal punto di vista economico, ragion per cui nei teatri è rigorosamente vietato esibire qualcosa di viola. Qui invece di artisti ce ne sono parecchi. Il premio Nobel Dario Fo parla di democrazia dal basso, di bellezza di una piazza onesta e perbene: «Quanto al premier, che si faccia processare, non esiste un solo paese nelle democrazie occidentali dove il presidente del consiglio sia proprietario di televisioni e accusato di aver progettato stragi con la mafia». Stesso tono per il regista Mario Monicelli: «Non voglio nemmeno credere a possibili convergenze con Cosa Nostra, sarebbe vergognoso, non ci voglio credere». Poco più in là Roberto Vecchioni: «Chi l'ha detto che la politica si faccia solo dentro i partiti? Qui c'è la gente comune, ci sono i cittadini, operai, idraulici, insegnanti, precari, impiegati, che esprimono la loro idea senza mediazioni». Al banco degli accrediti fermano pure il senatore Formisano, dell'Italia dei Valori, fino a prova contraria uno dei padroni di casa. «Dove va lei, ce l'ha un pass?» gli intima in maniera spiccia un ragazzo. Poi si scusa, a tesserino esibito. Piazza luogo simbolico, per tutte le idee politiche. Da sempre fa alchimia, trasforma le pulsioni private in temi pubblici. Il problema è il dopo, la fase down, il risveglio, quando si tratta di trovare un punto di sintesi.

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