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Quelle del pentito sono solamente chiacchiere

Il pentito mafioso Gaspare Spatuzza coperto e protetto dagli agenti entra nella maxi aula1 per deporre al processo a carico del senatore Marcello dell'Utri

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Il momento della verità per Gaspare Spatuzza nell'aula di Giustizia di Torino non è stato quando l'imbianchino di Brancaccio ha parlato delle quattro chiacchiere fatte con Giuseppe Graviano ai tavolini del caffè Doney a Roma a luglio del 1993 e sono volati nell'aria i nomi di «quello di Canale 5» (che sarebbe Silvio Berlusconi) e del «compaesano» (che sarebbe Marcello Dell'Utri, il siciliano emigrato a Milano).   Il momento della verità è precipitato circa mezz'ora dopo, quando Spatuzza ha parlato del colloquio da lui avuto nel carcere di Tolmezzo nel novembre del 2004, col fratello di Giuseppe, Filippo Graviano. Spatuzza stava raccontando che a quel punto lui, in galera già da sette anni, è già in crisi mistica ed è in isolamento, ma trova il modo di avvicinare ugualmente Filippo Graviano, che ha avuto un infarto e dovrebbe stare peggio di lui ed essere anche più disperato. Spatuzza pensa che quello è il momento giusto per parlargli dell'opportunità della «dissociazione»: «Perché non andiamo dai magistrati e ci dissociamo da Cosa Nostra? Che aspettiamo ancora? Che altre speranze abbiamo di non marcire qui dentro?» Ma Filippo Graviano, racconta Spatuzza, reagisce malamente: «Ai magistrati — gli dice — della nostra dissociazione non interessa niente, questo è un problema politico e lo devono risolvere i politici modificando la legge, sono "loro" che devono intervenire come ci hanno promesso. Se non interverranno solo allora andremo dai magistrati». Il pg, a questo punto, chiede a Spatuzza (ma, con un lapsus, lo chiama «signor Graviano»): «Chi sono "loro"?» E Spatuzza: «Evidentemente quelli di cui mi aveva parlato Giuseppe Graviano ai tavolini del caffè Doney, "quello di Canale 5" e "il compaesano"». Interviene allora il presidente della Corte d'Appello e chiede a sua volta a Spatuzza: «Glielo ha detto Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo che sono loro?» Spatuzza, piuttosto imbarazzato, replica: «No, non me lo ha detto Filippo Graviano, è stata una mia deduzione, sono io che ho fatto "un collegamento"». Il presidente: «No, signor Spatuzza, a noi interessano i fatti, non le sue deduzioni, lei non deve fare collegamenti, deve dirci ciò che è effettivamente è avvenuto». Corre in soccorso di Spatuzza il procuratore generale, piuttosto agitato: «Spatuzza sta raccontando un "fatto storico", Giuseppe Graviano a via Veneto gli aveva indicato quei due, quando gli aveva detto che avevano "chiuso tutto" e che avevano ottenuto "quello che cercavano" e "grazie alla serietà di queste persone".   Quando (dieci anni dopo) Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo gli dice che devono aspettare l'intervento dei "politici", Spatuzza non può che pensare a loro (anche se nel luglio del '93, quando Giuseppe Graviano gliene avrebbe parlato, quello di Canale 5 e il compaesano sono tutt'altro che «politici» e ci vorrà almeno un anno perché lo diventino). È «un fatto storico», ribadisce il pg quasi gridando. Ma il presidente, calmo e severo: «No, il fatto storico avviene nella realtà, non nella mente di Spatuzza». Non si poteva dire meglio. In questa storia tutto avviene non nella realtà, ma nella mente di Spatuzza, come lui stesso confessa. E potrebbe anche avvenire, essere tutto avvenuto solo nella mente dei fratelli Graviano, ovemai fossero chiamati a confermare Spatuzza e lo confermassero (ma finora hanno negato, sia pure con tutto il «rispetto» per il loro ex imbianchino, illuminato e redento dalla fede). In teoria potrebbe avvenire che i Graviano confermino il racconto di Spatuzza, e persino che quel racconto corrisponda a ciò che è realmente avvenuto intorno ai tavolini del caffè Doney. Sempre di chiacchiere si tratterebbe, e non c'è niente di più autentico e costante nella mentalità e nella personalità del mafioso, questa ipertrofia dell'io e questa esibita vanteria: io so, io conosco, io posso, io ce li ho tutti nelle mani, io ci ho il Paese nelle mani. Poteva mai sapere, il povero Spatuzza, che l'unico lontano rapporto (se pure si può considerare tale) che c'era stato tra i Graviano e quello di Canale 5 e il compaesano era stata di aver fatto raccomandare da un tale D'Agostino (che né quello di Canale 5 né il compaesano conoscevano come un conoscente dei Graviano) un ragazzo promettente calciatore di pallone perché lo provassero nella squadra dei ragazzi del Milan? E quelli, dopo averlo messo alla prova, l'avevano cacciato (sbagliando, perché il ragazzo avrebbe fatto una brillante carriera).   Nemmeno questo, un posto di calciatore nella squadra dei giovani del Milan, questa piccola, minuscola parte del «Paese» avevano messo, sia pure per la raccomandazione di un intermediario sconosciuto, nelle mani dei Graviano e di Cosa Nostra quelli di Canale 5 e i compaesani di Milano. L'avessero tenuto, questo sì, sarebbe stato un sia pur piccolo «fatto storico», come dice il pg. Chissà se qualcuno di questi magistrati delle tre o quattro procure che gestiscono e si contendono Gaspare Spatuzza e che conoscono perfettamente questo episodio, che è da tempo agli atti del processo a Marcello Dell'Utri, glielo hanno raccontato a Spatuzza. Magari per chiedergli: se Giuseppe Graviano non ti ha mai raccontato la storia del ragazzo cacciato dal Milan e veramente quella volta del caffè Doney ti ha detto che quello di Canale 5 e il compaesano vi avevano messo il Paese nelle mani, potrai mai più amarlo e rispettarlo e chiamarlo «Madre Natura»?  

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