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Il grande "bluff" di Spatuzza

Il maxiprocesso al pentito di mafia Gaspare Spatuzza

Dal pentito solo chiacchiere

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C'è un momento della deposizione del pentito Gaspare Spatuzza che fotografa perfettamente la giornata che ha calamitato l'attenzione degli italiani sull'aula bunker del tribunale di Torino. È quando il presidente della Corte d'Appello Claudio Dall'Acqua, rivolgendosi al procuratore generale di Palermo Antonino Gatto (che rappresentava l'accusa) e a Spatuzza, li invita a non divagare e a parlare di «fatti» inerenti al processo in corso. Cioè di fatti che abbiano a che fare con l'accusa, rivolta al senatore Marcello Dell'Utri, di essersi macchiato del reato di «concorso esterno in associazione mafiosa». Già perché se c'è una cosa che manca al racconto del killer di don Puglisi sono proprio i riscontri. Non una prova che dimostri che le sue parole corrispondano a verità. Era cosa nota già dopo le indiscrezioni dei mesi scorsi, ma ieri, dopo tanto rumore, è arrivata la certezza. Spatuzza ha riferito in Aula quello che aveva già detto anche alla procura di Firenze che sta indagando sulle stragi del '92. Non una virgola in più. Tutto ruota intorno ad una conversazione che risale ai primi giorni del 1994. Spatuzza è a Roma per preparare l'attentato (poi fallito) allo stadio Olimpico. Nel bar Doney di Via Veneto incontra il boss Giuseppe Graviano che per lui è praticamente «un padre». Il pentito non ricorda molto del luogo, ma riferisce perfettamente cosa si dissero.   «Aveva un'espressione gioiosa - racconta -, come per la nascita di un figlio. Ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro "crasti" ("cornuti" ndr) socialisti che avevano preso i voti nell'88 e nel 1989 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vennero fatti i nomi di due soggetti. Di Berlusconi. Venni a dire a Graviano se era quello di Canale 5 e mi disse che era lui. Poi c'era di mezzo pure un compaesano, Dell'Utri. Mi disse che grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo il Paese nelle mani». Le scottanti rivelazione sui rapporti tra mafia e Berlusconi finiscono qui. Per il resto Spatuzza si limita a ricordare il contesto in cui si mosse in quegli anni. Parla di cinque lettere del boss imbucate prima della bombe del '93 («un'anomalia che mi ha fatto capire che c'era qualcosa sul versante politico») e di come quelle vittime di atti terroristici non «appartenessero» alla mafia («Graviano mi disse che se ci portavamo tanti morti chi si fosse dovuto muovere si sarebbe mosso»). Poi chiede perdono per «il male fatto» e definisce il suo pentimento come «la conclusione di un bellissimo percorso spirituale» che lo ha portato ad un bivio: «scegliere Dio o Cosa nostra». Forse per «religioso rispetto» la Corte decide di non domandargli nulla e rinvia il processo all'11 dicembre quando verranno ascoltati i boss Giuseppe e Filippo Graviano e Cosimo Lo Nigro. Marcello Dell'Utri segue l'intero interrogatorio seduto in Aula accanto ai suoi legali e alla fine parla di Spatuzza come di un pentito manovrato appositamente per far cadere il governo. «Sono sicuro - commenta - che finirà tutto nel nulla, perché non c'è nulla». L'impressione è che non abbia tutti i torti.  

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