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Amanda e Raffaele colpevoli

Una combo mostra Amanda Marie Knox e Raffaele Sollecito dietro alle sbarre

Prima notte dopo la condanna

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Condannati. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati per l'omicidio di Meredith Kercher. Ad Amanda sono stati inflitti 26 anni di reclusione, a Raffaele 25. Per loro è stata un'attesa estenuante. Alla lettura della sentenza Amanda ha detto: «No, no» ed è scoppiata a piangere. La ragazza americana è stata condannata anche per il reato di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba. Per questo reato dovrà risarcire il musicista congolese con 40 mila euro. Il risarcimento per la proprietaria della casa di via della Pergola è stato fissato in 25 mila euro. Un giudizio lungo, contrastato, affidato a mani esperte, a menti abituate a valutare ogni particolare nel magma di scene del crimine sempre più «inquinate» e sempre meno «attendibili» in un Paese dove è stata decretata da tempo, insieme con quelle di tante morti senza assassino, anche quella del processo indiziario. E un quesito rimbomba dietro un chiavistello che chiude da due anni stanze del silenzio, case inospitali per Raffaele e Amanda, due figli di questi tempi, così come lo era Meredith: assassini freddi e crudeli incastrati da prove «inconfutabili» o ragazzi acqua e sapone al loro primo amore, travolti da uno «tsunami mediatico» e da un'accusa pesantissima ma «incompiuta», perché «senza movente e senza riscontri certi»? Per Amanda Knox, l'Amelie di Seattle, e Raffaele Sollecito, lo studente d'informatica laureatosi ingegnere in prigione, è arrivato la condanna, dopo due anni di carcere e 11 mesi di udienze. Nella lunga domanda sono infarciti tanti passi di arringa, citazioni scomposte e ricomposte proprio come un cadavere in necroscopia. Entrata ieri mattina in camera di consiglio, la Corte d'Assise di Perugia era chiamata a decidere se erano stati Raffaele e Amanda a uccidere il 2 novembre 2007 Meredith Kercher insieme con Rudy Guede. L'ivoriano - il «coinvitato di pietra» del processo l'ha definito il pm Giuliano Mignini - scelse il rito abbreviato ed è già stato condannato a 30 anni di carcere: si giocherà la classica «speranza ultima a morire» nell'Appello previsto per il 21 dicembre. Di sicuro, quella della giuria popolare non è stata una decisione facile: condannare due ragazzi di 25 e 22 anni a più di 20 anni significa distruggere per sempre la loro vita; assolverli avrebbe voluto dire sconfessare non solo l'intera inchiesta, ma anche i giudici che prima di loro si sono espressi: il Gip che ha convalidato la custodia cautelare in carcere, quelli del Tribunale del Riesame che non hanno accolto le loro istanze di scarcerazione, quelli che hanno condannato Rudy in primo grado e anche quelli della Cassazione. E uno degli aspetti sui quali ha puntato la Procura di Perugia per sostenere la colpevolezza dei due sono proprio le sentenze precedenti, rivendicando le «plurime e costanti conferme» avute dai tribunali. Insieme con le prove scientifiche «inconfutabili», che collocano i due ex fidanzatini nell'appartamento di via della Pergola la sera in cui Meredith fu uccisa: il Dna di Amanda e di Mez sulle macchie di sangue repertate nel bagno, il profilo genetico della studentessa di Seattle con quello di Mez su un coltello da cucina trovato dagli investigatori nella casa di Raffaele Sollecito, il Dna dello studente barese sul gancetto del reggiseno di Meredith. Giuliano Mignini e Manuela Comodi, i pm, hanno ben chiara anche la dinamica dell'omicidio: quella sera i tre arrivarono a casa in via della Pergola, dove c'era già la giovane inglese. «Con certezza non sappiamo quali intenzioni avessero - afferma Mignini - ma è possibile che ci sia stata una discussione, poi degenerata, tra Mez e Amanda per i soldi scomparsi. O forse la studentessa inglese era contrariata per la presenza di Guede». Sta di fatto che «la Knox, Sollecito e l'ivoriano, sotto l'influsso degli stupefacenti e forse dell'alcol, decidono comunque di porre in atto il progetto di coinvolgere Mez in un pesante gioco sessuale». Diventa un'aggressione con un «crescendo incontrollato, inarrestabile di violenza e gioco sessuale» che termina con la morte della ragazza. Per la Procura, a sferrare la coltellata mortale è Amanda, che «voleva vendicarsi di quella smorfiosa troppo seria e morigerata per i suoi gusti» mentre Raffaele la tiene ferma. È, invece, Rudy a violentarla. E i pm ribadiscono: «Mez è stata uccisa in maniera impressionante da tre furie scatenate». Nel corso di undici mesi di dibattimento, sono tutte parole e prove che le difese dei due imputati hanno tentato di smontare. Ma quali furie, Amanda e Raffaele, hanno detto gli avvocati rivolgendosi direttamente ai giudici popolari «erano due ragazzini con una semplicissima storia d'amore» e che certo «non pensavano a festini, a Meredith e a Guede». Due ragazzi acqua e sapone, insomma, ai quali sono stati «strappati i sogni», travolti da uno «tsunami mediatico» più grande di loro. Secondo i legali tutta l'inchiesta è piena di «illogicità»: un'«opera incompiuta» nella quale mancano «le parti essenziali» e i «riscontri». I due ex fidanzatini, dunque, non possono che essere assolti. Anche perché, dicono, un colpevole «già c'è». Ed è Rudy Guede. Infatti, le «prove» portate dalla Procura non sono tali: il gancetto del reggiseno sul quale è stato trovato il Dna di Raffaele, «46 giorni dopo esser stato individuato», «non è un reperto genuino» e l'impronta che lo ha incastrato sulla scena del delitto è in realtà di Rudy. Senza contare che «è una certezza» che Sollecito non conoscesse l'ivoriano al momento dell'omicidio. Anche Amanda-Amelie è innocente perché c'è una «assoluta mancanza del movente» e c'è «il deserto del quadro accusatorio per quanto riguarda la conoscenza tra i tre imputati».   E il «coltellaccio spropositato» che secondo l'accusa ha ucciso Mez, non può essere l'arma del delitto perché troppo grande e incompatibile. Inoltre, alla bella studentessa di Seattle che ha diviso l'opinione pubblica, è stato negato «il diritto al silenzio», quando, senza un avvocato, è stata interrogata in Questura.

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