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"No B. Day", opposizione nel caos Sinistra divisa anche sulla piazza

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Arriveranno, i compagni dai campi e dalle officine. In ordine sparso, sbandati, vagamente spiazzati dai nuovi slogan trasversali. Non è più tempo di brandire la falce e il martello: in piazza, al «No B. Day», troveranno insorti armati di mouse e Blackberry, mobilitati in Rete a migliaia contro il tiranno, quello che sogna il buen retiro a Panama, quello che canterebbe volentieri il pezzo di Fossati, "di trafficanti e rifugiati/ne ho già piena la vita/oh maledetta traversata/non sarà mai finita". Ma Berlusconi sarà già a godersi le "attrattive" dei mari caldi, e questi invece ancora a mezzo di una sconsolante, eterna traversata del deserto rosso. Perché "ar popolo der Pd" viene suggerito di andarci, tra i cybernauti vestiti di viola e i dipietristi incazzati, ma i leader se ne guardano bene, o tentano un estremo distinguo, un "verrei ma non posso", come ha fatto sapere Veltroni, che giura di essere tornato in politica ma purtroppo domani avrà una presentazione del suo libro, l'editoria ha le sue regole, mica si può dare buca agli affezionatissimi lettori dei romanzotti sulla storia patria. O come Rosy Bindi, che le spiace tanto ma non può farsi mettere in mezzo, lei è la presidentona del partito, l'istituzione vale più della caciara. O come Bersani, che fiuta la malagrana, hai visto mai che ti becchi una selciata, e allora manda a dire che guarda «con speranza», ma da lontano, «a questa manifestazione nella quale c'è la possibilità che prendano voce nuovi protagonisti della democrazia capaci di dare il loro libero e autonomo contributo» etc. etc. «per dare una mano a unire e non dividere, per un'alternativa al premier». E mentre lo scriveva chiudeva la finestra. S'ode l'eco di una pernacchia: «Se Bersani non viene, non se ne accorge nessuno». Di Pietro, ovvio. Però a San Giovanni vedremo Franceschini e Marino, felici e perdenti; l'icona dei teenager Pd-pop Deborah Serracchiani, o la dark lady Giovanna Melandri, che incita gli aficionados dei Democratici a partecipare numerosi al "No B.Day", perché - spiega - è stata convinta da un'intervista degli organizzatori a "Zoro". Chi è Zoro, vi chiederete? È Diego Bianchi, blogger della satira dandiniana di "Parla con me". Alla vigilia delle primarie gli chiesero per chi avrebbe votato. Rispose: «Sono tra gli indecisi. Già adesso ci sono quelli che mi insultano in quanto franceschiniano, quelli che mi insultano come bersaniano e come mariniano». Un faro. Ma quando è cominciata questa lunga e infruttuosa marcia da irregolari? La storia dice che se ti vuoi opporre a un nemico spietato, hai bisogno di generali. Kutuzov fermò Napoleone sulla Beresina, Zhukov spianò i nazisti sull'Oder. Togliatti, dal letto d'ospedale, disse ai suoi di riseppellire i fucili. Berlinguer ruppe con Mosca dagli scranni del congresso del Pcus. Qui chi comanda? Nella confusione del quartier generale, l'astutissimo Di Pietro riesce ad accusare il Pd della mancata diretta dell'evento in Rai, scatenando la bagarre. Ma Viale Mazzini non era tutta finita nelle fauci del Caimano Silvio? Non era stata "normalizzata" pure Raitre? Uno psicodramma, insomma. La cui origine risale a un trauma mai del tutto elaborato. È il 2 febbraio 2002. Nanni Moretti sale sul palco di Piazza Navona, quattro giorni dopo il "resistere resistere resistere" del pg di Milano Borrelli, la difesa della "giustizia giusta" su una nuova "linea del Piave". Paonazzo in volto, accalorato, rauco, il regista grida al microfono qualcosa di sinistra, affondando lo spiedino nelle maschere di cera di Rutelli e Fassino, ritti lì al suo fianco: «Il problema del centro-sinistra è: per vincere bisogna saltare due, tre o quattro generazioni?». Le maschere di cera vorrebbero sciogliersi seduta stante, ma quello è il fuoco freddo dell'ira. Moretti attacca la "burokratija" che non ha saputo fare «autocritica rispetto alle scelte di questi ultimi anni...rispetto alla timidezza...rispetto alla moderazione...rispetto a non saper più parlare alla testa, all'anima e al cuore delle persone!!!». La folla ondeggia. Appena sceso dalla tribunetta, Nanni viene accusato da qualche "apparatcik" ulivista di essere un Tafazzi che si dà le martellate sulle palle, ma ormai è Girotondo, nasce il mito della politica che può fare a meno dei partiti, e quello è l'anno in cui i "professionisti" cercheranno di irreggimentare quei cittadini incazzosi e gaudenti, con Fassino e D'Alema costretti a parlamentare con lo stesso Moretti e professor Pardi, tra i fischi e le beffe. Ma fra proporre e gestire c'è una differenza, serve tempo, organizzazione. Si riscopre presto la necessità di farsi rappresentare, perché la gente comune mica può stare tutto il giorno a fare girotondi e trallallero. Allora Nanni lo ripete in piazza, e proprio a San Giovanni, in quel vibrante 14 settembre: «Noi continueremo a delegare ai partiti, ma visto che un po' ci siamo svegliati la nostra delega non sarà sempre in bianco», cuore di un discorso cominciato con un deciso «Non perdiamoci di vista. Ora che ci siamo ritrovati rimaniamo in contatto». Non sarebbe andata così: giorno dopo giorno, il Palazzo Rosso avrebbe riconquistato il ruolo di Opposizione Ufficiale, prendendo per stanchezza gli spontaneisti. E in una torrida sera del luglio 2008, un «avvilito» (come disse all'indomani) Moretti avrebbe sbirciato da un angolo della "sua" Piazza Navona l'adunata "No Cav" sponsorizzata dall'"Unità" e dal solito Di Pietro. Grillo sparò indifferentemente contro «topo gigio Walter e psiconano Silvio» (non sarà un caso se i promotori del "No B Day" cercano di dissuadere Beppe dal prendere la parola domani); Sabina Guzzanti berciò dal palco un'«osteria delle ministre» dedicata alla Carfagna, prima di un'infernale invettiva contro il Papa. «È stata sporcata la storia dei girotondi», commentò Nanni, a quel punto perfettamente ricompreso nel ruolo del «mi si nota di più se vengo o se resto in disparte». Non sapendo che un anno dopo sarebbe stato reinterpretato, con sfumature da Oscar, dai talentuosi Bersani, Veltroni, Bindi: i divi di "Ecce Pd".

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