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Il ministro Brunetta cento le pensa e cento le fa.

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E',invece, un'idea molto interessante che condivido in pieno. Ecco, potrebbero obiettare i lettori del Tempo, dobbiamo adesso sorbirci la lezioncina del solito parlamentare che appartiene alla stirpe dei faraoni e che non vede l'ora di prendersi la rivincita contro tutti coloro che fanno la paternale a proposito delle dissipatezze e delle indennità varie dei politici. Ma si dà il caso che sono da quarant'anni giornalista e solo da uno e mezzo deputato e so, quindi, qualcosa sulla doppia morale di certi fustigatori di costumi sempre pronti a denunciare tutti i privilegi a patto, però, che siano degli altri. Quando ancora alla Rai sedeva il consiglio d'amministrazione guidato da Petruccioli, ho cercato disperatamente, come commissario della Bicamerale di Vigilanza, di farmi dare gli stipendi di certi anchor-men o presunti tali. Non ci sono riuscito perché mi veniva puntalmente risposto che non si poteva violare la «privacy» di certi blasonati conduttori od opinionisti. Che poi questi guadagnassero moltissimo era normale perché lo imponeva la legge della concorrenza: altrimenti i nostri eroi sarebbero trasmigrati a Mediaset o a Sky. Peccato solo che alcuni di questi campioni (non faccio nomi, tranne due: Michele Santoro e Marco Travaglio) prendessero cifre talvolta iperboliche dallo Stato, e quindi da tutti noi, almeno da tutti coloro che pagano il canone, per aggredire lo stesso Stato, cioè il loro ufficiale pagatore. Vi è mai capitato di leggere su Repubblica un violento «j'accuse» contro l'editore De Benedetti, o sulla Stampa il «de profundis» della Fiat? Mai, senza ombra di dubbio. Alla Rai succede, spesso, il contrario: siamo arrivati al paradosso che più attacchi il governo, più sei pagato. Intendiamoci, è giusto e sacrosanto criticare il potere politico, ma c'è un limite a tutto, specie quando i soldi sono pubblici. Molti hanno criticato, qualche anno fa, Stella e Rizzo perché hanno fatto tanti soldi con «la Casta», il libro che mette appunto a nudo tutti i privilegi di politici e manager pubblici, ma, fino a prova contraria, i due giornalisti sono stati premiati dal mercato e dai lettori che hanno acquistato il «best-seller». Ben diverso è il discorso dei vari Santoro e Travaglio che smentiscono un vecchio adagio popolare: nessuno sputa sul piatto dove mangia. E sbaglia anche il simpatico Carlo Conti quando eccepisce che, con la pubblicazione dei loro compensi, i conduttori Rai sarebbero discriminati rispetto ai colleghi delle altre reti. Si dimentica, Conti, un piccolo particolare: che la Rai fornisce un servizio pubblico. E poi diciamo la verità: perché i giornali e le tv alimentano il clima di «dagli all'untore» quando prendono di mira un uomo politico (pensiamo alle denunce dei redditi dei politici regolarmente pubblicate: da Berlusconi all'ultimo dei mconsioglieri comunali), ma dovrebbero tirarsi indietro nel caso che «l'esame trasparenza» li riguardi direttamente? E, allora, via alla prova finestra, semmai con un piccolo correttivo alla proposta di Brunetta: i compensi dei conduttori siano pubblicizzati solo nei titoli di coda del programma. Perché, a metterli anche all'inizio, ci sarebbe un grosso rischio: che molti teleutenti cambino rete immediatamente.

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