Da "camerata" a "compagno" il passo è breve
Il follinismo reale sfiancò il centrodestra sino a consegnare le sorti della Patria a Prodi. La Nemesi è beffarda e, così, l'ambizioso Follini, passando tra i rossi, scomparve nel nulla. Fini, ammaliato dagli applausi sinistrorsi, di palinodìa in palinodìa, sta lavorando allo sFinimento del Pdl. Come Follini, non ha un progetto, navigando a vista, giorno dopo giorno, ispirato da astio, invidia, gelosia. È l'imperativo «A Silvio non gliene lascio passare una» il vero motore del suo sparigliare. Viene alla mente il ragazzaccio di «Natale in casa Cupiello», che, pur di far inquietare il padre, si ostina a ripetere che il presepe, proprio perché costruito con tanto amore dal babbo, non gli piace. Che Fini non abbia progetto, a parte il nuovo 25 luglio 1943, si evince dall'incoerenza: Silvio viene stigmatizzato perché dovrebbe avere più rispetto delle Istituzioni, eppure Gianfranco non mostra alcun rispetto verso Palazzo Chigi, che, per i governati, è l'istituzione più importante. La terza carica dello Stato vorrebbe proporsi come bandiera della laicità, tuttavia chiede l'ora di religione maomettana. Un laico autentico e non della domenica esorterebbe ad abolire qualsiasi ora di religione, essendo altri i luoghi idonei al catechismo, sostituendola magari con un corso di storia delle religioni. Vorrebbe che nel Pdl e nel centrodestra s'instaurasse la regola del dialogo - mai esistita, peraltro, in An -, eppure dà degli «stronzi» agli alleati del Carroccio, i quali si permettono di avere idee diverse sui diritti e sui doveri degli extracomunitari. Se, come i leghisti, stesse sul territorio senza l'ovatta delle scorte, magari visitando certe stazioni ferroviarie dopo le ore 24, forse riuscirebbe a capire qualcosa di più del problema. Gli piace far pappa e ciccia con i pubblici ministeri, offendendo i tanti missini fedeli alla memoria di Benito, perseguitati e falsamente accusati da toghe rosse, tese ad attribuire ai «fascisti» anche stragi e delitti dei comunisti. Penso ad Almirante, a Rauti, a tanti altri martiri dell'antifascismo giudiziario, a quel Saccucci condannato per omicidio, pur trovandosi a 100 km dal luogo dell'incidente mortale. Fini sembra lo smemorato di Collegno e forse per queste amnesie croniche è capace di cambiare idea con disinvoltura. Andare da Mussolini «più grande statista del Novecento» al fascismo «Male assoluto» è un carpiato rovesciato con difficoltà 3,9. Magari dopo anni di lazialità, Gianfranco, domani, ci spiegherà quanto sia magico convertirsi al giallorosso. Da «camerata» a «compagno» il passo è breve, soprattutto per il vezzo finiano di «farefuturo», che è un'antica astuzia comunista impiegata per giustificare il nulla oppure il mal-fare nel presente. Nessuno, invero, affiderebbe neppure l'amministrazione di un condominio a Gianfranco, così come a Casini o a Rutelli. Per il «fare», meno male che Silvio c'è. Paolo Guzzanti cambiò idea su Berlusconi. Essendo intellettualmente onesto, dopo aver sputato veleno, se ne uscì dal Pdl, iscrivendosi al gruppo misto. Così fanno gli uomini veri, per quanto fulvi. Spero che Fini e finiani scoprano che la coerenza è l'uscio della dignità.