Spatuzza farà un altro flop
Chi si aspetta clamorose novità dalla deposizione che il «pentito» Gaspare Spatuzza è stato chiamato a fare domani al processo d'appello contro il senatore Marcello Dell'Utri rischia di restare deluso. Nonostante la sfrenata fantasia di questi «pentiti», Spatuzza non potrà dire molto di più di quanto ha già detto e risulta da centinaia di pagine di verbali di interrogatori, e Spatuzza ha aspettato quindici anni a dirlo e ci ha messo più di un anno prima di dettarlo a verbale: e cioè che un giorno di gennaio del '94 avrebbe saputo da uno dei fratelli Graviano, mentre bivaccavano a un tavolo del caffè Doney a via Veneto a Roma e preparavano l'ultima strage (poi fallita), si sarebbe concluso «l'accordo» con «quello di Canale 5» (che sarebbe Silvio Berlusconi) e mercè i buoni uffici del «paesano vivente a Milano» (che sarebbe Marcello Dell'Utri). E da quel momento, gli avrebbe detto Graviano, Cosa Nostra «aveva l'Italia nelle mani». E se Spatuzza, dopo averci pensato quindici anni e averci messo un anno a dettarlo a verbale, non ha trovato niente altro da dire ai magistrati di quattro procure, è molto difficile che inventi qualcosa di nuovo e di eclatante da qui a domani. E quello che ha detto sinora, nonostante il fracasso mediatico che se ne è fatto, è un po' poco per spedire un avviso di garanzia come mandanti delle stragi a Berlusconi e a Dell'Utri, anche perché nel processo a Marcello Dell'Utri, nel corso di questi tredici anni che sono passati dalla richiesta di rinvio a giudizio (22 ottobre 1996), se proprio fosse servito un pretesto per incriminare Berlusconi e Dell'Utri per strage, si è accumulato ben altro della chiacchierata tra Graviano e Spatuzza nel corso della loro dolce vita stragista a via Veneto. Sarebbe bastato un «pentito» di ben altro spessore mafioso (nel senso gerarchico) di Spatuzza, quel Salvatore Cancemi, il cui pentimento era come «una vite arrugginita che si svita lentamente» (come disse per giustificare i ritardi dei suoi ricordi) e che il 18 febbraio del 1994, ben quindici anni fa e sette mesi dopo essersi «consegnato» spontaneamente ai carabinieri della caserna Carini di Palermo, rivelò alla dottoressa Ilda Boccassini, il sostituto distaccato da Milano a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci, di aver saputo da Raffaele Ganci che «Salvatore Riina aveva avuto un incontro con persone importanti prima che venisse ucciso il giudice Falcone». Sul momento Cancemi, incalzato dalla Boccassini, ribadì più volte che Ganci non gli aveva fatto il nome delle «persone importanti» che avevano incontrato Riina e di «non averne saputo né in quella occasione né successivamente i nominativi». Non senza però anticipare, nello stesso interrogatorio, una sua «intuizione» a proposito del «pizzo» che la Fininvest avrebbe pagato alla mafia per proteggere le antenne che trasmettevano i programmi delle sue televisioni in Sicilia: «Non credo che il pagamento di quella somma annuale di 200 milioni costituiva una specie di pizzo - detta a verbale Cancemi - c'era qualcosa in più, lo avevo intuito perfettamente...e ci fu una consegna di danaro anche due mesi prima dell'attentato al giudice Falcone a Capaci». Esibito per anni dai pm in tutti i più importanti processi di mafia, Cancemi a ogni processo ha fatto un piccolo passo in avanti fino al processo «Borsellino ter» per la strage di via D'Amelio del 1999, dove quella lontana «intuizione» partecipata alla Boccassini diventa una «deduzione logica»: posto che in quella specie di pizzo c'era qualcosa di più di un'estorsione per le antenne della televisione, e che la consegna del denaro era avvenuta anche prima della strage di Falcone (ma anche dopo, tra la strage di Falcone e quella di Borsellino) e che ormai Riina andava dicendo che aveva «'nte manu», nelle mani, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi, e che prima della strage di Capaci aveva incontrato «persone importanti, queste persone - dichiara Cancemi - non potevano che essere state che Dell'Utri e Berlusconi», i quali evidentemente oltre che dargli il denaro, gli avevano detto anche che farne, magari comprare il tritolo per far saltare in aria Giovanni Falcone. E' già molto più delle chiacchiere al Caffè Doney tra Graviano e Spatuzza, e siamo a dieci anni fa, e i magistrati ci credono (il pm del processo Borsellino ter dirà nella sua requisitoria che ciò che racconta Cancemi «è sufficientemente provato»), e magari di un avviso di reato per strage a Berlusconi e Dell'Utri si sarebbe potuto cominciare a parlare con più fondamento che non le chiacchiere di Spatuzza, ma il botto finale esploderà nell'udienza del 14 giugno 2000, quando la «vite arrugginita» del pentimento di Cancemi fa l'ultimo giro e Cancemi si ricorda, a sei anni di distanza da quella mattina in cui aveva bussato alla porta della caserma Carini, che prima della strage di Capaci c'era stata una riunione della Cupola e che lui era presente e aveva sentito con le proprie orecchie Totò Riina fare i nomi: Dell'Utri e Berlusconi, aveva detto proprio così il capo di Cosa Nostra, dobbiamo fare qualcosa per loro, fare scendere da cavallo questi che hanno comandato finora a Roma e al loro posto far salire Berlusconi. Fu quel giorno che, contemporaneamente alla notizia dell'ultima rivelazione di Cancemi, diventato ormai «testimone oculare» (e non chiacchierando a via Veneto a Roma, al caffè Doney, ma a Palermo, e chiacchierando con Riina), batterono anche la notizia di Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi iscritti nel registro degli indagati per il reato di strage (e l'iscrizione risaliva al 1998). Sono passati quasi dieci anni. L'avviso di reato a Berlusconi e a Dell'Utri per strage non è mai arrivato, e l'inchiesta per strage comtro Berlusconi e Dell'Utri è stata archiviata già sette anni fa. Nel decreto di archiviazione il gip scrive che le dichiarazioni di Cancemo, tutte le sue dichiarazioni, l'intuizione, la deduzione, la testimonianza oculare, la vite prima arruginita e poi svitata sono «anguillose». Perchè «anguilloso», così ha scritto il gip, si è rivelato il «pentito» Salvatore Cancemi, dal movimento simile a quello delle anguille: cioè tortuoso, viscido, inafferrabile. A Cancemi molti tribunali, nei processi a cui l'hanno accreditato tanti pm creduloni, non hanno nemmeno riconosciuto gli sconti di pena previsti dalla legge sui collaboratori di giustizia, e anzi è l'unico tra centinaia di «pentiti» che in un processo è stato persino condannato all'ergastolo. E con questa motivazione: «Salvatore Cancemi è assolutamente inattendibile per la sua verosimile attitudine al mendacio e al calcolo utilitaristico nel rivelare ciò che più può essere conveniente per accreditarsi dinanzi all'autorità giudiziaria». E dopo sette anni dall'archiviazione delle menzogne di Cancemi è comparso questo Spatuzza, l'imbianchino pentito e redento, anguilloso, tortuoso, inafferrabile più ancora di Cancemi, che almeno non raccontava di chiacchiere al Caffè di via Veneto su accordi misteriosi per consegnare l'Italia nelle mani di Cosa Nostra ma spiava e orecchiava il capo di Cosa Nostra nel covo della mafia a Palermo e riferiva di finanziamenti e di incontri ad alto livello. Come è possibile aver archiviato con quelle sprezzanti motivazioni le sia pure apparentemente circostanziate rivelazioni di Cancemi, uomo vicinissimo a Riina, e accreditare, sette anni dopo quella archiviazione, fino a far riaprire il processo a Dell'Utri le vaghe chiacchiere da bar dell'imbianchino dei Graviano? E stimolare tutto questo fracasso mediatico nell'attesa della deposizione del 4 dicembre? E questo lo chiamano riaprire le indagini sulle stragi? Questo solo si preannuncia per il 4 dicembre, un altro clamoroso, forse definitivo fallimento dei professionisti dell'Antimafia.