Gifuni, il "monaco" del Colle che servì due presidenti
Coinvolto nelle indagini sugli ammanchi scoperti nella tenuta presidenziale di Castelporziano, che hanno già procurato gli arresti domiciliari al nipote Luigi Tripodi, il povero Gaetano Gifuni deve essersi sentito crollare il mondo addosso. E lo si può ben capire, conoscendone la lunghissima e prestigiosa carriera pubblica, cominciata come funzionario del Senato nell'ormai lontano 1959, all'età di 27 anni non ancora compiuti. Nativo di Lucera, in provincia di Foggia, gli sembrò di toccare il cielo con un dito vincendo un concorso tra i più difficili ed esclusivi della pubblica amministrazione, secondo forse solo a quello della diplomazia. Ma di cielo da toccare ce n'era ancora per lui, arrivato il 26 giugno 1975, il giorno dopo il suo quarantatreesimo compleanno, al vertice della burocrazia di Palazzo Madama. Sarebbe rimasto segretario generale del Senato quasi ininterrottamente per diciassette anni, sino al 1992, lavorando a stretto e felice contatto di gomito con presidenti dal temperamento diverso ma ugualmente difficile come Amintore Fanfani, Francesco Cossiga e Giovanni Spadolini. Dei quali era capace di subire e al tempo stesso assecondare le manie perfezionistiche e i ritmi infaticabili di lavoro. Tutti si fidavano talmente di lui da affidargli spesso compiti anche di mediazione politica, svolti sempre all'insegna di una discrezione assoluta, quasi monastica. Fanfani si abituò tanto ai suoi servizi che nel 1987, quando fece il governo voluto dall'allora segretario della Dc Ciriaco De Mita per sostituire a Palazzo Chigi Bettino Craxi e gestire un turno di elezioni anticipate erroneamente ritenuto vantaggioso per l'allora partito di maggioranza, lo volle ministro per i rapporti con il Parlamento. Gifuni, per quanto lusingato per l'offerta, cercò di resistergli facendogli, fra l'altro, osservare giustamente che ci sarebbero stati ben pochi rapporti da coltivare con un Parlamento destinato ad essere sciolto dopo pochi giorni. Infatti pur di provocarne la bocciatura e fornire all'allora capo dello Stato Francesco Cossiga il motivo dello scioglimento delle Camere, la Dc impose ai suoi parlamentari di negare, con il ricorso al voto di astensione, la fiducia al nuovo governo, per quanto monocolore democristiano. Gli votarono a favore solo i socialisti, nell'inutile tentativo di far proseguire la legislatura fino all'epilogo ordinario dell'anno successivo. Fanfani non volle sentire ragione e intimò a Gifuni di obbedirgli, consentendogli in cambio di congelare con un'acrobatica aspettativa la ben più solida carica di segretario generale del Senato. Ch'egli riprese dopo tre mesi per conservarla fino al 1992, l'anno orribile di Tangentopoli e della strage mafiosa di Capaci, dove furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e quasi tutti gli agenti della scorta. Per effetto di quella strage le votazioni parlamentari per l'elezione del successore di Cossiga al Quirinale subirono un'accelerazione fortissima. La scelta si restrinse fra i presidenti delle Camere, che erano Spadolini al Senato e Oscar Luigi Scalfaro a Montecitorio. Spadolini era talmente sicuro di farcela da predisporre in anticipo il discorso d'insediamento e da prenotare per Gifuni l'incarico di segretario generale della Presidenza della Repubblica. Ma per convenienze combinate dei socialisti e dei comunisti al Quirinale andò Scalfaro, che rispettò tuttavia la prenotazione di Spadolini chiamando come segretario generale proprio Gifuni. Egli fu confermato sette anni dopo da Carlo Azeglio Ciampi, dopo avere tentato negli ultimi mesi della presidenza Scalfaro di scalare il vertice della Corte dei Conti, fermato però da forti resistenze interne. Andato volontariamente in pensione con l'elezione di Giorgio Napolitano al Quirinale, nella primavera del 2006, Gifuni ne divenne però consulente con la carica inedita di segretario generale emerito, che non gli ha risparmiato l'amarezza giudiziaria di questi giorni.