I magistrati non vogliono mollare la presa
Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, che di pentiti s'intende anche per l'esperienza acquisita da magistrato, si è giustamente chiesto se alla Procura di Firenze non si siano, diciamo così, distratti accettando i racconti dell'ergastolano Gaspare Spatuzza anche dopo i sei mesi messigli a disposizione dalla legge per svuotare la memoria e indicare lo zampino addirittura di Silvio Berlusconi nelle stragi mafiose del 1993. Messosi a parlare a metà dell'anno scorso con i magistrati fiorentini di quelle lontane vicende, solo il 18 giugno dell'anno dopo Spatuzza ha infatti coinvolto il presidente del Consiglio dicendo di averne sentito il nome, oltre a quello di Marcello Dell'Utri, in un incontro avuto nel gennaio del 1994 in un bar di via Veneto, a Roma, con il boss mafioso di Brancaccio Giuseppe Graviano, fratello di un altro boss chiamato Filippo. Ma più ancora della circostanza denunciata dal sottosegretario Mantovano, e lamentata in televisione anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini, trovo inquietante la diffidenza attribuita ai magistrati fiorentini verso le smentite che i fratelli Graviano, una volta interrogati e messi a confronto, hanno opposto alle presunte rivelazioni di Spatuzza. I Graviano avrebbero insospettito gli inquirenti per avere smentito Spatuzza senza prenderlo a parolacce o lanciargli minacce, come i capimafia userebbero fare con i traditori, ma continuando a trattarlo con una certa simpatia e comprensione. Da ciò i magistrati avrebbero tratto la speranza, o addirittura la convinzione, di sentirsi dare prima o poi la conferma sinora negata. Essi torneranno alla carica per tutto il tempo che la legge mette loro a disposizione per questo tipo d'indagini aggiornando il registro degli indagati. Non si tratta di qualche settimana o qualche mese, ma di due anni: un tempo interminabile, durante il quale i malintenzionati potranno continuare a riempire il dibattito o il chiacchiericcio politico delle solite velenose indiscrezioni. Berlusconi dovrà continuare a difendersi da ciò che certi magistrati vorrebbero ma non sono in grado di contestargli, lasciando che a farlo siano però i loro gazzettieri, pronti naturalmente a gridare contro la libertà di stampa minacciata dalle ragionevoli querele dell'interessato. E il povero Giorgio Napolitano si troverà ogni tanto costretto ad esprimere il proprio giustificatissimo disagio rivolgendo inascoltati appelli al senso di moderazione e responsabilità. Egli tornerà magari a richiamare i magistrati, come ha fatto venerdì scorso invitandoli ad attenersi «rigorosamente» alle loro funzioni, senza tuttavia prendere mai di petto nessuno in modo stringente nella sede propria. Che è il Consiglio Superiore della Magistratura, da lui stesso presieduto per disposizione costituzionale.