Frattura insanabile nel Pdl
È la fine di un’illusione. Ci mancava pure il "fuori onda" di Fini per certificare che il Pdl di fatto non esiste più (nonostante inguaribili ottimisti sostengano il contrario) come soggetto politico. Si può, infatti, ritenere ancora possibile la convivenza dei due co-fondatori in un partito "diarchico" se i rapporti tra entrambi si sono lacerati? Del resto quando la corda viene tirata troppo è inevitabile che si spezzi. E dopo le innumerevoli esternazioni del presidente della Camera (l’ultima lunedì a difesa del concorso esterno in associazione mafiosa, costruzione giurisprudenziale aberrante e non reato codificato) e le rabbiose reazioni (pubbliche e private) di Berlusconi, fin troppo giustificate dal logoramento a cui è sottoposto da parte di settori del suo partito, ritenere che un’esperienza politica lunga quindici anni possa ricomporsi è quantomeno ingenuo. E Fini non crediamo che lo ritenga. Per di più all’interno dei gruppi parlamentari la dialettica spesso risulta urticante tra le contrapposte tifoserie. E su temi sensibili più che il confronto prevale la regola del frazionismo. Il partito non è una "caserma", d’accordo, ma neppure un’associazione anarcoide di fronte alla quale gli elettori non possono che perdere la bussola. Infatti, il popolo del centrodestra, negli ultimi mesi, ha visto svanire un sogno e la visione del vuoto si è fatta concreta agli occhi di chi aveva creduto in un grande soggetto politico capace di modernizzare il Paese e riformare le istituzioni. Il Pdl, per disgrazia dello stesso fragile bipolarismo italiano, non si è fatto mancare davvero nulla in questi ultimi mesi. Fini ha dato l’impressione di voler giocare un campionato tutto suo dal quale Berlusconi è stato escluso. Ritenere, come ormai è acclarato, il premier un antagonista da parte di Fini certo non ha giovato al Pdl ed alla maggioranza. Non sappiamo quale sia l’obiettivo del presidente della Camera, mentre abbiamo ben chiari i timori del secondo che coincidono con quelli di quanti temono il capovolgimento del responso elettorale. Entrambi, dunque, sono su sponde opposte ed è inutile che i pur tenaci "pontieri" facciano di tutto per attutire lo scontro in atto. Se Fini ha, come tutto lascia intendere, una visione diversa del partito, della politica, delle riforme e di come farle rispetto al Cavaliere, se ne prenda atto e non ci si accanisca nel voler tenere insieme ciò che insieme non può stare. Dal canto suo, se Berlusconi, piuttosto che guardarsi dagli avversari esterni ritiene di doversi guardare dai concorrenti interni, qualcuno ci sa dire come è possibile che governi a dispetto della sua stessa coalizione o parte di essa? I giudizi di Fini sul presidente del Consiglio, datati agli inizi di novembre e resi noti soltanto ieri, non fanno che confermare lo scetticismo con cui l’ex-leader di An aderì, dopo un non celato disappunto, al progetto del partito unitario lanciato da Berlusconi. Si capì nel febbraio dello scorso anno che l’operazione nasceva male, senza entusiasmo e con molte perplessità da parte di numerosi dirigenti di An. Credemmo che con il tempo quella che sembrava una "fusione a freddo" prendesse un altro indirizzo. Invece niente. La tregua dello spazio elettorale ed il trionfo che ne è seguito non hanno portato consiglio. Subito dopo l’apertura della legislatura è cominciata la guerra di posizione che ora rischia di trascinare nel baratro quello che sembrava un partito destinato a lasciare una traccia profonda nella storia d’Italia. Ce ne rammarichiamo.