Napolitano mette in riga i magistrati

Tocca ancora una volta a Giorgio Napolitano frenare i magistrati. Non è la prima volta che accade. Nell’eterna lotta tra le toghe e la politica il Capo dello Stato, pur richiamando quest’ultima ad evitare esagerazioni e «vendette sommarie», ha sempre mantenuto la barra dritta: i magistrati devono svolgere il loro compito senza protagonismi e con rigore etico. Così, anche di fronte all’ennesima polemica, non si è lasciato pregare. Ed è sceso in campo. Giovedì sera erano state le frasi attribuite a Silvio Berlusconi a scatenare lo scontro. Frasi in cui il premier si scagliva contro una parte della magistratura accusandola di lavorare per far cadere il governo e portare il Paese sull'orlo di una guerra civile. Nonostante si trattasse di parole pronunciate in una riunione a porte chiuse e prontamente smentite dall'ufficio stampa del Pdl, la reazione del Csm era stata durissima e immediato era scattato l'appello al Capo dello Stato affinché intervenisse per tutelare le toghe. Peccato che la dichiarazione rilasciata ieri da Napolitano ai giornalisti non suoni proprio come una difesa. Anzi. «L'interesse del Paese, che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale, - ha commentato il presidente della Repubblica - richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali». «Va ribadito - ha aggiunto - che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare. È indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione». «E spetta al Parlamento esaminare - ha concluso -, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia». Insomma, ha sicuramente ragione il presidente della Camera Gianfranco Fini quando dice che il messaggio del Capo dello Stato va «letto e apprezzato nella sua totalità», ma non sfugge certo la critica esplicita ad un certo protagonismo dei giudici. In fondo le parole di Napolitano sono in assoluta continuità con quanto detto finora. Lo scorso 26 giugno, ad esempio, intervenendo alla cerimonia per i 100 anni dell'Anm aveva ricordato come «quella della magistratura è una funzione da esercitare secondo i principi della nostra Costituzione in piena indipendenza ed autonomia, con equilibrio e senso di responsabilità al servizio dei cittadini». E ancora nel maggio del 2008 quando, rivolgendosi, ai magistrati in tirocinio li aveva invitati a «non cedere ai protagonismi e alle esposizioni mediatiche e di accostarsi al processo con coraggio e umiltà, ponendo attenzione al rispetto delle parti e dei loro diritti». Ma già nel 2006 Napolitano, dopo l'elezione di Nicola Mancino e a meno di tre mesi dal suo ingresso al Quirinale, spiegava che «serenità, riservatezza ed equilibrio rappresentano per i magistrati il primo presidio della loro autonomia e della loro indipendenza, alla cui salvaguardia è preposto, secondo la Costituzione, il Consiglio superiore della magistratura, chiamato a tutelare i magistrati da qualsiasi forma di delegittimazione, ma anche, ove necessario, a richiamarli a non discostarsi dall'osservanza del loro codice etico». Sono passati tre anni, ma la musica è sempre la stessa.