D'Alema trombato

  Ci mancava solo quest’ultima bufala. Ormai Martin Schulz, presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo, non sa più a chi scaricare la responsabilità della mancata elezione di Massimo D'Alema a ministro degli Esteri dell'Ue e pensa di addossarla tutta al governo italiano. O meglio, ritiene di farla diventare un'arma politica da giocare contro il suo acerrimo nemico Silvio Berlusconi. Un odio nato nel 2003, quando Schulz, durante una seduta del Parlamento, mise in dubbio la legittimità dell'insediamento di Berlusconi alla presidenza Ue. Una scortesia ricambiata dal premier che non perse l'occasione per definire Schulz come un «kapò» nazista. E così, ieri, il capogruppo del Pse, è tornato all'attacco rilasciando un'intervista a Repubblica: «Nella nomina ha prevalso la logica dei governi e quello italiano non ha mai ufficialmente proposto il nome di D'Alema. Questo è un fatto». Non l'avesse mai detto. Immediatamente a far quadrato attorno al presidente del Consiglio si sono schierati alcuni dei suoi ministri. «Spendo solo due parole per replicare a Schulz, che è il vero autore del fallimento di D'Alema: sono bugie e tutta l'Europa lo sa» commenta il capo degli Esteri, Franco Frattini. E mentre, il collega per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi rievoca passate vicissitudini, «Shulz non è nemmeno il kapò che disse Berlusconi, ma solo un poveraccio che non capisce nemmeno come avvengono le nomine di cui parla», il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi, commenta: «Le dichiarazioni di Schulz appaiono come un goffo tentativo di nascondere una verità a tutti nota». E se Berlusconi, interpellato dai giornalisti a Doha, non ha voluto commentare personalmente l'accaduto, ad attaccare Schulz ci hanno pensato anche alcuni esponenti del centrosinistra. C'è chi, come la vicepresidente del Senato Emma Bonino, lo fa senza usare mezze parole: «La candidatura di D'Alema è stata affossata dal Pse, è inutile che Schulz dica che non è così». E chi invece, come David Sassoli e l'intera delegazione del Pd riunitasi ieri pomeriggio con Schulz, non attacca apertamente il capogruppo del Pse ma nemmeno lo difende: «Nella bocciatura di D'Alema ha prevalso la logica intergovernativa rispetto alle scelte delle famiglie politiche». Ora intanto la partita si sposta tutta in Italia. Per oggi è attesa una riunione della Direzione del Pd, durante la quale alcuni esponenti del partito potrebbero mettere in discussione il patto dello scorso giugno con il Pse. Più insofferenti dell'accordo sono proprio quegli esponenti riconducibili ad aree più lontane dalla sinistra storica italiana: ex popolari e liberal. «È chiaro che sono stati i socialisti a non volerlo in quella carica», dice l'ex Ppi Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari europei della Camera. Se «fossero stati compatti, D'Alema sarebbe passato, evitando non poco imbarazzo a tanti della delegazione Pd nell'Asde». Un imbarazzo esplicitato anche da Fioroni: «La vicenda D'Alema qualche interrogativo ce lo pone. Si tratta di capire se il Pd nell'Asde incide davvero o no. Non si tratta di gridare "usciamo", ma il Pd deve chiarire a se stesso questo punto». E Enzo Bianco, presidente dei Liberal del Pd, concorda e chiede che vengano prese «decisioni coraggiose» già oggi nella Direzione. Ironia della sorte. Fonti ben informate rivelano che la tanto contestata intervista, fosse stata sollecitata da D'Alema a Schulz. Chissà però se Baffino si aspettava questo scaricabarile?